Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
È il Grande Giorno, torniamo alla normalità. Alla nostra singolare e non sempre piacevole normalità. Abbiamo il dovere di apprezzarla: di questi tempi la normalità è diventata la nuova rarità. L’insopportabile anomalia stagionale l’ho rimossa non appena Salt Bae è entrato in una storia non sua. Mi sta bene che il Mondiale l’abbia vinto Messi: l’atto di giustizia si è compiuto.
Provo una sensazione gradevolissima al pensiero che si ricomincia a giocare in italiano. Anche se davanti a noi ci sono miserie ed ex nobiltà, un mercato che quello della Lidl è roba da ricchi, il possibile (ri)processo alla Juve e ai suoi derivati, le polemiche che fanno sangue e gli arbitraggi che ci dividono.
Il campionato è la nostra abitudine. Per quasi due mesi abbiamo fatto i guardoni, visto ripartire inglesi, spagnoli e francesi prima di noi, letto interviste che produrranno antipatici effetti. Ma, prima di ogni altra cosa, abbiamo salutato alcuni amatissimi compagni di viaggio. Sinisa Mihajlovic ha lasciato sulla terra un sacco di gente che gli ha voluto bene. Non posso dimenticare l’espressione di Deki Stankovic il giorno dell’addio e quel suo tenero, drammatico sfogo: «Per me non è una notizia, per me è la vita».
La morte di Sconcerti ci ha privati di un punto di vista e di uno stile mai banali: era la mia lettura preferita, Mario riusciva sempre a smuovermi qualcosa; e poi Pelé, ricordato con dovizia di particolari anche da chi l’aveva visto soltanto in “Fuga per la vittoria”: per fortuna l’ho ritrovato negli articoli di Cucci e Audisio e nelle parole di Pizzul. Il vero Pelé è stato per pochi, la suggestione per chi ha meno di 60 anni.
Ma oggi è il Grande Giorno e bisogna essere positivi e rispettosi anche nei confronti di chi umanamente è una merda. Quante cose sono cambiate nella nostra benedetta normalità. Agnelli, Nedved e Arrivabene non siedono più in tribuna durante le partite della Juve; al loro posto, Scanavino e Ferrero. Allegri si è trasformato da esonerando (ma solo per i detrattori) in leader Max. A Mourinho hanno dovuto spiegare che allena una squadra da Champions: se l’è segnato.
Le casse sono più vuote che mai: l’Inter non ha un euro, Juve e Roma pure, il Napoli li avrebbe, i soldi, ma ha seguito l’esempio del Milan e adesso è più intelligente e bravo della concorrenza. La Samp mi preoccupa, il Bologna anche pur se per altre ragioni. Ora Sarri è costretto a chiarire che il problema di Luis Alberto non è lui, gli credo: è diventato il mio idolo quando ha detto che, per protesta contro la Fifa, non avrebbe visto una sola partita del Mondiale. Il presidente degli arbitri Trentalange è a casa, Ronaldo in Arabia, Infantino concede selfie al funerale privato di Pelé e Ibra ci ricorda che lo può giudicare soltanto Dio. Perché, noi no?
Il Grande Giorno ci regala Inter-Napoli, una sfida preceduta da tante ipotesi di rimonta (Pioli, Inzaghi, più realista Allegri). A ben pensarci, fra le tante mosse incerte di chi un campionato a due piazze non l’aveva neppure immaginato, al punto di trascinare da un anno all’altro i dormienti post -Qatar come se meritassero il riposo dei guerrieri, ci voleva proprio questa partitissima per riaccendere il sacro fuoco.
Ho appena sfogliato un sedicente calendario geniale del 2023, introdotto da poche parole di Wayne Dyer che assumo a programma: “Non è mai troppo tardi per un nuovo inizio”.