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Estratto dell'articolo di Fabio Pavesi per il Fatto Quotidiano pubblicato da Dagospia il 7 giugno 2021
Debiti che superano costantemente i ricavi; perdite plurimilionarie che si susseguono anno dopo anno; flussi di cassa azzerati. Se fosse un’azienda normale avrebbe già portato i soldi in Tribunale. Non è così per l’industria del calcio italiano che vive da anni sul filo del rasoio. Bilanci scassati (con pochissime eccezioni, Atalanta e Napoli in particolare) affidati alle magie del calciomercato e delle plusvalenze sullo scambio dei giocatori come unico salvagente a rattoppare in parte i conti disastrati.
Con in mezzo il ruolo opaco di quel manipolo di agenti e procuratori di allenatori e calciatori che fanno il bello e il cattivo tempo nel gioco ambiguo del calciomercato. Di tutto questo si occupa Report in un’inchiesta sull’affaire miliardario di quell’industria particolare che è il calcio professionistico nella puntata che andrà in onda lunedì sera su RaiTre. Basta sfogliare i bilanci delle squadre per capire che si è di fronte a un enorme gigante dai piedi d’argilla. Un’azienda malata, da anni, con il Covid che ha solo aggravato una situazione da punto di non ritorno.
Come documenta l’ultimo report annuale della Figc e di Pwc sul calcio italiano professionistico (serie A B e C) nelle ultime 5 annate dal 2014 al 2019, quindi pre-Covid, le perdite cumulate sono state di 1,6 miliardi. L’ultima annata, il 2018-2019, ha visto perdite per le tre serie professionistiche di 395 milioni su ricavi totali di 3,85 miliardi. Ogni 100 euro incassati 10 diventano perdite secche.
Solo i ricchi stipendi di calciatori e allenatori si mangiano in media il 60% dei ricavi, e gli ammortamenti annui dei calciatori sono costi per quasi un miliardo. Dai diritti tv arriva il grosso del fatturato, circa 1,4 miliardi l’anno. Con i ricavi da biglietti che anche in era pre-Covid valgono ormai meno del 10% delle entrate, l’altra gamba dei ricavi dopo i diritti televisivi sono proprio le plusvalenze da calciomercato che solo nel 2018-2019 sono state di ben 753 milioni.
Spesso solo numeri contabili dato che con gli incroci di scambio tra club su valori spesso artificiosi, soldi veri in cassa non entrano. Sono, in virtù degli acquisti e cessioni concordate tra club, solo numeri scritti a bilancio. Transazioni figurative che gonfiano i ricavi in modo fittizio, quel tanto che basta a evitare una Caporetto definitiva. Senza quei ricavi aggiuntivi lo sprofondo del calcio italiano varrebbe ogni anno oltre un miliardo di euro, rendendo la situazione debitoria ancora più grave. Già, i debiti: l’altro macigno che incombe sulle squadre. I debiti cumulati, saliti a quota 4,6 miliardi nella stagione 2018-2019 superano ampiamente i ricavi complessivi fermi a 3,8 miliardi.
Poche aziende si possono permettere debiti superiori ai fatturati senza fallire.
E la stagione che si è appena chiusa ha visto i debiti salire ancora verso quota 5 miliardi. Un peso insostenibile, dato che non ci sono utili e flussi di cassa tali da poter pensare a un futuro rimborso di così tanta esposizione finanziaria. Sono tra l’altro proprio i grandi club ad avere i bilanci peggiori. E non a caso la suggestione SuperLega con una torta più ricca di ricavi da spartire su pochi club in un circolo chiuso, ha subito ammaliato le regine storiche del campionato Juve, Inter e Milan. I tre ex-scissionisti più la Roma vedono un saldo delle perdite complessive della stagione pre-Covid che sfiora i 600 milioni con debiti netti finanziari che valgono quasi 1,4 miliardi.