Piero Mei per “il Messaggero”
Pelè compie 80 anni. Almeno per le scartoffie dei burocrati, pure se digitalizzate. E' nato il 23 ottobre 1940, ma l' impiegato scrisse 21, perché era duro d' orecchie o perché gli riusciva meglio scrivere l' 1 in bella calligrafia. Non capì neppure il nome: il papà lo voleva chiamare Edison pensando che si fosse accesa una lampadina sul mondo, ma quello borbottò qualcosa e scrisse Edson.
Pazienza, lo avrebbe portato per pochi anni. Poi sarebbe diventato Pelè. Pelè compie 80 anni ma non per il popolo del calcio: un supereroe non ha età. Ce l' hanno, forse, Superman o Batman per non dirne che due? «Ringrazio Dio di essere arrivato a questo punto in buona salute e lucido e spero che quando sarà mi accolga come fanno in tutto il mondo» ha detto Pelè. Ha anche aggiunto, un po' blasfemo ma probabilmente veritiero, «sono più conosciuto di Gesù». Per generazioni Pelè è il calcio.
IL CONFRONTO Se la batte con Maradona, Napoli permettendo.
C' è chi gli accosta o mette davanti Di Stefano o Cruyjff, i contemporanei sussurrano a mezza bocca Messi o Cristiano Ronaldo.
Ma vuoi mettere tre mondiali vinti, il primo a 18 anni e il terzo a trenta? Vuoi mettere 1281 gol in 1363 partite? Su questi numeri gli statistici s' azzuffano per qualche unità in più o in meno, ma conta poco o nulla. Perché i numeri non si addicono a Pelè.
Perfino qualche santone della panchina di quelli fissati con gli schemi e guai a non rispettarli, non riuscirebbe a mortificarlo assegnandoli un ruolo: il suo ruolo era quello di essere Pelè. Quando in nazionale ha giocato a fianco a Garrincha ha sempre vinto: quaranta volte di seguito.
A Burgnich, il terzino degli azzurri di Italia-Germania 4-3, cui toccò l' atroce e sublime destino di marcarlo (eufemismo) la volta dopo nella finale, forse è sempre comparso nei sogni e negli incubi: volava.
Ha detto Burgnich: abbiamo visto arrivare il pallone, siamo saltati insieme, quando ho messo di nuovo i piedi a terra l' ho visto che era ancora lassù; volava, come se non fosse di carne e d' ossa come ogni uomo. Da farsi venire un complesso. Forse come quello che avrà tormentato per tutta la vita il figlio di Pelè che coraggiosamente volle fare il calciatore, ma per non reggere il confronto si mise tra i pali.
Tutt' altra vita.
Del resto anche Pelè cominciò fra i pali, da piccolo: il papà, detto Dondinho, s' allenava allenandolo, anche nel corridoio di casa.
Gol di papà, Para Pilè faceva il piccolo, che voleva dire Bilè come il portiere che giocava di solito con Dondinho: non sapeva dire la b il ragazzino. Di lì venne Pelè oppure glielo affibbiò un qualche compagnuccio con intenzioni bulle?
Le leggende si rincorrono. Jorge Amado ha scritto una favola su un portiere Bula Bula di cui la palla s' era innamorata e gli finiva sempre fra le braccia, pure quando a scagliarla era Pelè: ma, per l' appunto, è una favola. Bula Bula non esiste.
La vita reale ha sempre proposto altro: fosse un colpo di testa o una rovesciata, fosse un dribbling o un passo doppio, tutto il repertorio del carnevale del calcio. Pelè, Pelè urlava tutto lo stadio quando con la maglia eterna del suo Santos andò sul dischetto del rigore guardando il portiere Andrada del Vasco da Gama, per tirare quello che sarebbe stato il suo gol numero 1000, cifra alla quale nessuno era mai arrivato prima di lui, novembre 1969. Pelè guardò Andrada che forse abbassò lo sguardo o forse no. Pelè fece gol: lui segnava, nel mondo che pure non era ancora tutto in diretta i ragazzi sognavano.
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