Giorgio Terruzzi per corriere.it
Un pezzo pregiato di storia motoristica. Questo è stato Sir Frank Williams, scomparso domenica ad anni 79 (South Shields, Inghilterra, 16 aprile 1942) al termine della sua terza vita, fatta di fatica e sofferenze, dopo quell’incidente stradale nel sud della Francia del 1986 che lo aveva paralizzato, relegandolo su una sedia a rotelle. Prima di allora, un’attività frenetica, impregnata di corse, velocità, olio ricinato. Tre vite, ecco.
La prima aveva dentro il furore della passione giovanile. Fame e voglia di farcela non senza qualche giorno gramo. La seconda, iniziata nel 1977, segnata dal sodalizio con un tecnico geniale e illuminato, Patrick Head, coincise con la fondazione del team Williams Grand Prix Engineering destinato a vincere 7 titoli mondiali piloti e 9 titoli costruttori tra il 1980 e il 1997.
Parlava un ottimo italiano, Frank. Imparato alla fine degli anni Sessanta quando andava e veniva dall’Inghilterra trasportando piccole monoposto, motori e ricambi destinati a chi, da queste parti, era pronto a tutto pur di saltar dentro una macchina, il gas a fondocorsa. Con Alejandro De Tomaso costruì una F1 senza fortuna. La guidava il suo amico Piers Courage, morto in pista, Zandvoort, Olanda, nel 1970; fu la Iso Rivolta a sostenerlo quando Williams era in lotta soprattutto con i debiti. Lui a utilizzare — racconta la leggenda — una cabina telefonica come base operativa della scuderia che avrebbe rilevato il petroliere Walter Wolf nel 1976.
La prima sede di Williams Gp Engineering era un ex negozio di tappeti: la stoffa delle vetture risultò subito di ottima qualità. Prima vittoria nel 1979 a Silverstone con Clay Regazzoni; primo titolo piloti nel 1980 con Alan Jones. E poi Keke Rosberg campione due anni dopo, Piquet nell’87, Mansell nel ‘92, Prost nel ‘93, Damon Hill nel ‘96 e Jacques Villeneuve la stagione successiva. Numero di vittorie nei Gp: 114. L’ultima è un ricordo lontano, Spagna 2012 con quel mattacchione di Pastor Maldonado.
Frank Williams aveva ceduto il timone del team alla figlia Claire, non proprio ispirata come il padre. La sua mancanza venne avvertita da tutti, insieme alla sensazione che il destino del team fosse compromesso, ben prima della cessione al fondo americano Dorilton nel 2020. Faticava a respirare ma cedeva alle richieste di interviste per raccontare e ricordare i giorni gioiosi, le furibonde lotte tra Mansell e Piquet, il dolore di fondo per la perdita di Senna a Imola, con quel penoso, inutile processo che ne seguì, una via crucis supplementare. Senna, al quale, per primo, aveva offerto una F1 per un test nel 1983, scoprendo i talenti di quel bimbo prodigio.
Era un reduce, protagonista di un’epoca che vive nella memoria di vecchi innamorati. Due anni fa Hamilton lo portò a spasso a Silverstone su una Mercedes stradale in occasione del Gp. È quella l’ultima immagine che abbiamo di Frank Williams. Contiene il sorriso di chi non aveva smesso di considerare la velocità una avventura senza prezzo. «Mi hanno detto di andare piano» disse Lewis prima di partire. «Stai scherzando vero? — rispose —. Mi aspetto grandi cose». Dovevano fare un solo giro: «Facciamone un altro, per favore, questo per me è indimenticabile».
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Accontentato, ma certo, ma sì. Buon viaggio Sir Frank.