"L'UNGHERIA MI HA RESTITUITO LA DIGNITÀ, SE NON FOSSI VENUTO QUI AVREI DOVUTO SMETTERE" - MARCO ROSSI, C.T. DELLA NAZIONALE UNGHERESE, RACCONTA LA SUA ESPERIENZA A BUDAPEST E SI LAMENTA PERCHE' IN ITALIA NESSUNO SE LO FILA: "HO RIFIUTATO OFFERTE DA INGHILTERRA, GERMANIA, TURCHIA E ARABIA. DALL’ITALIA NEMMENO UNA TELEFONATA. NON HO MAI AVUTO CHANCE PERCHÉ NON HO UN GRANDE NOME, NON CURAVO LE RELAZIONI E QUANTO AD AUTOPROMOZIONE, MEGLIO NON PARLARNE PROPRIO" 

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Estratto dell'articolo di Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”

MARCO ROSSI MARCO ROSSI

 

Marco Rossi, tre anni fa la sua Ungheria stava per eliminare la Germania, che pareggiò nel finale. Oggi le cose sono molto cambiate?

«Sì, loro sono un’altra squadra e non lo dico perché hanno vinto 5-1 con la Scozia, ma lo ripeto da settimane: sono la grande favorita di questo Europeo. Noi abbiamo perso male con la Svizzera e per la prima volta mi sono vergognato della mia squadra. Sfido chiunque a scommettere un fiorino ungherese su di noi: è una sfida proibitiva, ma spero di rivedere la mia squadra nella versione migliore».

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Dopo dodici anni dallo sbarco a Budapest, possiamo definirla ungherese?

«Certo, da qualche mese ho preso la doppia cittadinanza. Non mi posso più definire straniero. E mio figlio è venuto a giocare a pallanuoto nella massima serie ungherese». […]

 

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Dell’Ungheria di Orbán si parla tanto: come sono gli ungheresi secondo lei?

«C’è sempre stato grande rispetto nei miei confronti e credo che adesso si sia arrivati a qualcosa di più: forse mi vogliono bene. È un popolo nazionalista, nel senso che ama molto la propria patria, senza accezione negativa. Anche se può sembrare strano, sono persone accoglienti: in Ungheria lavorano tanti stranieri, moltissimi extracomunitari, che hanno trovato il loro spazio e sono apprezzati».

MARCO ROSSI MARCO ROSSI

 

Lei ha detto che l’Ungheria le «ha restituito la dignità».

«È così, perché se non fossi venuto qui avrei dovuto smettere di allenare, non c’erano le condizioni per farlo. Mi si è aperto uno scenario inaspettato, come inatteso è tutto quello che è successo dopo».

 

Pensa spesso a questo snodo della sua carriera?

«Sì, anche per gratitudine, che nel calcio non c’è mai: mi ricordo sempre di chi mi ha aiutato e difficilmente potrei decidere da solo di andarmene da qui».

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Ha rifiutato molte offerte?

«Da Premier League, Bundesliga, Turchia, Arabia. Mi sento in debito. Dall’Italia? Mai una telefonata, ma è normale: se non ho mai lavorato da noi ad alto livello si pensa che non sia così bravo per farlo».

 

Nel documentario di Dazn suo fratello dice che tornerebbe in Italia per un senso di rivincita. È così?

«Ha detto una sciocchezza, non ho alcun senso di rivincita. Non ho mai avuto la chance di misurarmi perché non ho un grande nome, non curavo le relazioni e quanto ad autopromozione, meglio non parlarne proprio».

 

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In Ungheria c’è un interesse per la Nazionale superiore a quello che c’è in Italia?

«Sì, c’è più attaccamento, più fame di calcio e meno puzza sotto al naso: in Italia si pretende solo di vincere e competere per farlo non basta più». […]

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