Matteo De Santis per lastampa.it - Estratti
atalanta bayer leverkusen gasperini con la coppa
Non la vogliono lasciare. Se la tengono stretta, la fotografano. Controllano se ci sono graffi, imperfezioni e ogni singolo millimetro dell'oggetto non più dei desideri, ma della realtà. La coppa, nella notte di Dublino, è sempre al centro di tutto. Luca Percassi se la coccola quasi come fosse una figlia. Papà Antonio, prima di tornare a Bergamo per direttissima, ha gli occhi lucidi e fatica quasi a descrivere le sue emozioni.
Stephen Pagliuca, il co-proprietario americano, scrive, manda messaggi e foto di lui con la coppa. Poi, quando la gioia anestetizza completamente la stanchezza, partono canti e balli di ogni tipo. Tutt’altro che proibiti, ma meritatissimi. Con Gian Piero Gasperini, quello che fino a ieri veniva dipinto (erroneamente) come un austero sergente di ferro, che dirige le danze e, come in campo, sprona la squadra a dare di più. «Voglio più casino».
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E i suoi discepoli lo accontentano anche stavolta, festeggiando senza tregua la notte più dolce della storia dell’Atalanta. «Forse non ci rendiamo conto che siamo riusciti a fare qualcosa di folle», rimuginava Gasp, passando da un capannello all’altro di persone nelle sale addobbate a festa dell’elegante Radisson Blu St. Helen’s Hotel, quartiere generale della Dea nell’indimenticabile soggiorno dublinese.
«Il mio primo trofeo in bacheca? Non credo di essere meglio ora che ho vinto rispetto a prima di incontrare il Bayer Leverkusen. Ognuno ha i suoi obiettivi, altrimenti vincerebbero solo la Juventus o l'Inter. Invece quest'anno hanno vinto anche il Bologna e il Cagliari. Certo che una coppa per noi ci voleva, soprattutto una così prestigiosa».
Prima una cena con familiari, parenti e amici stretti, culminata nell’esibizione canora di “We Are The Champions” dei Queen ad opera di Gasperini e Percassi senior, saliti in piedi sul tavolo. E poi le danze sfrenate in uno dei bar dei piani superiori: Scamacca, nei panni del selezionatore, ripropone a volume altissimo la playlist che l’Atalanta usa ascoltare sul pullman.
Canti, balli, bevute, abbracci: l’unica costante, nella festa esclusiva dei vincitori dell’Europa League, è proprio la coppa. Sempre lì, nel mezzo, che passa di mano. In bella mostra, al centro di tutto. Manca solo il primattore Lookman, stanco e acciaccato. Tutti gli altri sono in pista, in piedi sui tavolini o a cantare a squarciagola. «Forse non capiamo davvero la grandezza della nostra impresa», dicono in coro gli atalantini mentre si diffondono le note e le parole de «I migliori anni della nostra vita» di Renato Zero.
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GASPERINI
Estratti da corriere.it
E alla fine, quella carezza alla Coppa trattenuta dopo l’Olimpico, l’ha data l’ultima notte, quando l’ha cullata, senza chiudere occhio. Comunque andrà il suo futuro, Gasperini rimarrà nella storia per aver trascinato l’Atalanta a vincere il suo primo trofeo europeo. Il primo a credere nell’impossibile. Come a Liverpool, è stato lo stesso tris. «Finalmente un trofeo, ma c’è tempo per intitolarmi una statua. Il futuro? Il momento di uscire è quando si vince (ride, ndr) ma penso proprio di no. Io voglio perdere...»
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CANTAMI O DEA
Emanuele Gamba per la Repubblica - Estratti
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Nel cielo d’Irlanda c’erano ancora dei bagliori di chiarore quando Ademola Lookman, futuro sindaco di Bergamo per i secoli a venire, ha segnato in contropiede il terzo dei suoi tre gol e anzi dei tre gol di tutti: non ha neanche più esultato, come sopraffatto dall’incredulità, o come se si stesse facendo calare nell’anima, goccia a goccia, il senso più intimo della notte bianca che ricorderà per sempre, che ricorderanno i 7960 atalantini che erano qui, che ricorderà, si spera, l’Italia intera, cui Bergamo porge una coppa che ci mancava da 25 anni e che dovrà rendere grazie a una squadra che ci fa fare bella figura in mezza Europa, dove si stupiscono che da noi abbia potuto attecchire un fenomeno così.
Le reti le ha fatte tutti Lookman, inglese di genitori nigeriani (è nazionale nigeriano, ma campione del mondo con l’under 20 dell’Inghilterra), tipica scelta giusta di una società che sbaglia pochissimo e sa capire giocatori così.
Ademola (vuol dire “corona che porta prosperità”, nel nome c’era un destino) era una brillante promessa scarsamente mantenuta: il Lipsia, che ci vede lungo, lo comprò nel 2019 per 18 milioni, ne rimase deluso e quattro anni dopo lo vendette all’Atalanta per 15 facendo la fortuna sua e di Bergamo e di Gasperini e di questa gente quadrata e romantica che risognerà per sempre il sogno della notte di Dublino, quando gli imbattibili sono finalmente caduti perché qualcuno, stavolta, non ha più avuto soggezione di loro.
L’Atalanta è stata splendida. La partita, finché è esistita, è stata splendida: tre attaccanti di qua e tre difensori di là, quattro in mezzo, tutti a corrersi dietro uno con l’altro, senza mai guardarsi alle spalle ma più spesso negli occhi, sfacciati, per sfidarsi di continuo come si faceva quando il pallone era un gioco da bambini: è stato il meraviglioso spettacolo dell’antico calcio moderno, perché forse la modernità è giocare così, mettendo settimane di preparazione al servizio dell’istinto.
L'Atalanta ha fatto una prima mezzora gigantesca, paradisiaca, di anticipi perentori (ma bisognava avere del coraggio, per sfidare uno contro uno gente come Wirtz e Frimpong), pressing assillanti, ripartenze immediate, precisione tecnica e poi gol, i gol, le due ciliegine di Ademola Lookman, che è andato di sinistro a prendersi un cross basso di Zappacosta e poi a ricamare di destro un’azione tutta sua, dopo essersi bevuto Xhaka e Tapsoba.
(...) Xabi Alonso ha dimostrato in partenza di avere un filo di paura, mettendo la squadra più cauta possibile (Frimpong avanzato, Stanisic a coprirlo, Boniface e Schick in panchina) salvo rinnegarla nell’intervallo, quando della paura non sapeva più che farsene e quando ormai era troppo tardi.
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A quel punto è cominciata una partita più normale, meno splendida, più spessa di curate attenzioni, piena di attese e consapevolezze. L’Atalanta non ha mai scelto di difendersi ma quando lo ha fatto l’ha fatto bene, chi è entrato (Scalvini specialmente: il monumentale Kolasinac si era arreso un attimo prima che cominciasse la ripresa) non ha fatto peggio di chi è uscito, Ederson ha giocato dal primo all’ultimo per due o anche per tre. Poi il cielo d’Irlanda è finalmente diventato nero, si sono accesi i fuochi e i tre capitani materiali e morali – De Roon, Djimsiti e Toloi – hanno alzato la coppa, unici a battere gli imbattibili.
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