Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
Quando El Gringo, El Negro, El Vasco "Nuca de Dios", El Cabezon e Nery si sono accorti che El Pelusa si era tolto dal gruppo Whatsapp del mondiale '86, tutti hanno capito che il loro amico stava male, male dentro e male più di sempre, perché una cosa così non l' aveva mai fatta. E che forse stavolta avrebbe davvero raggiunto lassù El Tata e El Cuchu.
«Oh sì, adesso Pelusa è in cielo con El Profe Echeverria, che era il nostro preparatore atletico, e con Molina il massaggiatore, e naturalmente col Tata Brown e con Joselito Cuciuffo, il nostro Cuchu morto in un incidente di caccia».
Piange, Oscar Ruggeri (lui è il Cabezon, il testone) alle prese con tutti questi morti e l' ultimo è naturalmente Diego, "El Pelusa", "El Pelu", il capellone, così lo chiamavano da ragazzino e così hanno continuato a chiamarlo solo gli intimi: uomini, ma di più soprannomi. E quando si spento un cellulare, si è spento un universo.
«Provavamo a chiamarlo, a scrivergli. Tutto inutile». El Negro è Hector Enrique, l' uomo che passò la palla a Dieguito nel gol del secolo, l' azione infinita, un po' come questo dolore. «Non rispondeva alla chat da almeno due settimane, non ce lo passavano al telefono, dicevano che dormiva: io non ci credo ».
I ragazzi sanno che il loro capitano alla fine si è lasciato morire, è scivolato laggiù da solo. «E questo è terribile, perché Diego aveva dato gioia a tutti. Adesso anche il pallone è triste perché il pallone festeggiava gli anni il 30 di ottobre, insieme a Maradona. Io lo so che Pelu ora è in cielo col suo papà, la sua mamma e l' altro dio, il Padreterno. Diego non ha mai dimenticato da dove arrivava e non ha mai lasciato nessuno solo. Ci ha mostrato la strada e ci ha insegnato ad amare la maglia. Lui è il nostro "gran capitan"».
Questi omoni stempiati, questi bambinoni giganti frantumati dentro. Nery Pumpido era il portiere. «Diego ci faceva sempre ridere, anche al telefono con i suoi vocali. Ha smesso di colpo, dopo l' operazione.
Sapete, lui aveva regalato a tutti noi compagni una riproduzione della Coppa del mondo, la mia sta su una mensola e quando sono venuto a salutare Diego l' ho presa, volevo metterla nella bara, l' ho detto a Claudia, la Coppa deve stare col Pelu per l' eternità. Mi sono avvicinato e l' ho guardato: sorrideva. Gli ho detto grazie amico, grazie di tutto».
La lunghissima morte di Diego Maradona si era presentata così tante volte da non sembrare neanche credibile. Pareva una finta di gioco, ormai. «Ma quando ha smesso di risponderci, mi è venuto un brivido». Ricardo Giusti, El Gringo, era un pilastro della Nazionale. «Abbiamo vissuto con Diego la nostra parte migliore. Ha sofferto tanto. Tutti ripetevano che il Pelusa era immortale, e io lo so cosa vuol dire: perché quell' immortalità l' ho vista con questi miei occhi, giocandogli accanto. Nella bara il mio amico era finalmente in pace, sei diventato un ragazzo tranquillo, gli ho detto».
Senza misura piange Julio Olarticoechea, El Vasco, che sarebbe il basco. Lui di soprannomi ne ha addirittura due, perché da quel giorno contro gli inglesi è anche la Nuca de Dios: se la mano di Dio (Diego) segnò, la nuca di Dio (Julio) respinse sulla linea. «Sono in bicicletta quando mi dicono che Maradona è morto. Torno e casa e mi metto a camminare, per due ore ho camminato, pensato e ricordato. Gli avevo scritto, non rispondeva più. Parlargli era impossibile anche per noi chicos dell' 86. È tremendo sapere che il nostro amico è morto solo. Me lo rivedo in camera che non si alza mai dal letto e mi dice scusami Vasco, lasciami dormire ancora un po'».
MESSICO 86 ARGENTINA INGHILTERRA MARADONA
Era un gruppo particolare, quell' Argentina dell' 86 agli ordini di Carlos Bilardo. Ancora non gli hanno detto che Diego è morto, lui ha l' Alzheimer, ne soffrirebbe troppo. Suo fratello Jorge gli ha raccontato che il cavo del televisore è rotto e bisogna tenere spento.
Una squadra segnata dal destino.
Josè Cuciuffo, El Cuche, difensore e marcatore, venne ucciso durante una battuta di caccia da un colpo sparato per sbaglio: aveva solo 43 anni. E il Tata Brown se n' è andato l' anno scorso, anche lui aveva la malattia che spegne il cervello, i ricordi e poi tutto il resto.
La chat su Whatsapp li teneva uniti, ora che il tempo e le strade li avevano un po' sparpagliati ma non divisi, finché proprio Diego ha schiacciato un pulsante e addio.
MARADONA IN ARGENTINA INGHILTERRA
«Mi costa piangerlo, però mi serve farlo». Scuote il testone, Cabezon Ruggeri. «Ci ho creduto soltanto quando ho visto la bara.
Quando l' ho saputo ero a casa, e sono rimasto a piangere da solo non so per quanto tempo: piangevo Diego e la nostra vita che lentamente se ne va, la sua parte migliore, la più felice, i compagni che non ci sono più. Quei giorni in Messico, nell' 86: cosa avremmo potuto avere, dopo? Cosa, più grande di questo? Ma lui nella bara era sereno, ognuno di noi l' ha notato. Questa cosa ci ha fatto bene. Sul volto di Diego c' era una pace enorme, veramente. E io ho pensato che quando entrava in campo, sorrideva sempre. Era una cosa veloce, un attimo appena, poi la sua faccia diventava dura e quasi cattiva. Ma prima c' era quel sorriso».