Stefano Semeraro per la Stampa
Il progetto della nona vittoria a Wimbledon di Roger Federer finisce a metà settimana, lontano dal Centre Court, sul Campo numero 1 dove non metteva piede da tre anni, nelle curve di una giornata lunga ma normale, né brutta né bella: il male della banalità, che spesso è la kryptonite dei geni.
Cinque set (2-6 6-7 7-5 6-4 13-11) e quattro ore e 14 minuti lasciati nei quarti a Kevin Anderson, numero 8 del mondo, una finale da imbucato l' anno scorso a New York. Il sudafricano che non ti aspetti, il gigante gentile (203 cm) che in quattro precedenti non aveva mai vinto un set, e che ieri sembrava archiviato dopo i primi due dominati da Rog, glassati da due o tre-giocate deluxe: una demivolée sovrana, un pallonetto di rovescio che solo lui.
Ma che ha «semplicemente continuato a crederci», salvando anche un match point - è la 20ª sconfitta in carriera di Federer con un match point a favore -, riuscendo alla fine a spegnere la lanterna magica svizzera. Tanti ace (28), ma anche, soprattutto, tanti scambi vinti da fondo picchiando sul rovescio del Genio, passandolo a rete; dandogli occasione di sbagliare più del consentito, specie con il diritto: 22 errori gratuiti su 33 sono arrivati dal colpo migliore di Federer.
Quinta sconfitta da 2-0 È la quinta volta che Roger si fa scappare un match dopo essere stato avanti di due set; nel 2011 gli capitò sia qui a Wimbledon, contro Tsonga, sia agli Us Open, in semifinale contro Djokovic, anche allora dopo un match point a favore. Come è potuto succedere, campione? «Non so bene quando ho perso il controllo della partita», mormora il diretto l' interessato, con quella faccia un po' così, quell' espressione un po' così di chi ieri si aspettava di raccontare tutta un' altra storia, di commentare la 13ª semifinale a Wimbledon.
«Direi dopo il match point (5-4 e servizio Anderson nel terzo set, ma gli è arrivata una bomba che non è riuscito a controllare con il rovescio, ndr). Oppure quando mi sono fatto breccare, poco dopo. Ci sono stati altri punti, qui e là, che non ho giocato come dovevo. Kevin è stato solido, ha resistito, all' inizio riuscivo a leggere il suo servizio, alla fine meno. In allenamento avevo le sensazioni giuste, non è una sconfitta che ho sentito arrivare. E non è stata una brutta giornata, ma una giornata normale, come ne capitano tante. Di solito riesci a cavartela. Stavolta ho sbagliato di più, non sono riuscito ad alzare il livello quando serviva». Ad esempio nel quarto set, con le tre palle break consecutive nell' 11º gioco; o nel quinto, interminabile set, quando è stato due volte a due punti dal match.
Fino a Tokyo 2020 L' ultima volta che Federer aveva detto bye bye così presto a Church Road era stato nel 2013, fulminato al secondo turno da Sergiy Stakhovsky: cinque anni fa. Fra un mesetto Federer di anni ne compirà 37; dopo la partita non era sfiancato, la sabbietta però filtra inesorabile nella clessidra, anche se il fresco contratto con i giapponesi di Uniqlo fa intravedere un gran finale alle Olimpiadi di Tokyo nel 2020. «Quanto mi ci vorrà a smaltire la botta? Un po' di tempo. O forse mezz' ora, non so. Adesso brucia orribilmente, passerà. Qui non lascio un lavoro a metà, visto che in passato qualcosa di buono l' ho combinato, ci vediamo comunque qui l' anno prossimo». E anche questo è normale.
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