Estratto dell'articolo di Francesco Giorgianni per CHI
Nicola Pietrangeli a 91 non teme rivali. Istrionico, affascinante e con la battuta pronta. Nicola è sempre “Nick”, la leggenda del tennis e, in questa occasione, ha festeggiato il compleanno al Circolo Tennis Bologna, struttura sportiva che risale al 1902, prima di assistere al primo turno di Coppa Davis vinto dall’Italia 2 a 1 sul Brasile (la squadra capitanata da Filippo Volandri ha poi battuto anche Belgio e Olanda, accedendo così ai quarti di finale in programma dal 19 al 24 novembre a Malaga, in Spagna).
Il torneo dell’insalatiera è un po’ casa sua visto che detiene il record assoluto degli incontri giocati come “davisman”: 164 presenze (110 in singolare e 54 in doppio) e 120 vittorie (78 in singolare e 42 in doppio). Accanto a lui, con una torta di mele creata ad hoc, la Nicola’s Apple Cake (di @manucakedesigner), c’è Gabriella Carlucci, grande appassionata di tennis e produttrice del documentario Nicola vs. Pietrangeli sulla vita del campione diretto da Antonio Centomani (su RaiPlay).
Domanda. Pietrangeli, le è piaciuto il documentario?
Risposta. «Posso dire che quello che si vede è tutto vero, sfido chiunque a smentirmi. Ho vissuto un’epoca bellissima. Poi mi ha fatto piacere, perché sa, in Italia, oggi i vecchi vengono dimenticati, ed è un peccato. In merito a questo gli americani hanno qualcosa da insegnarci... E, diciamolo, tanto alla terza età ci arrivano tutti prima o poi. Io, da parte mia, sono tranquillo perché non ho mai fatto male a nessuno e di me non si può parlare male».
D. E allora facciamo un salto indietro nel tempo quando era bambino...
R. «Mio padre (Giulio, ndr) era figlio di un Paperone di Tunisi ed era un po’ il playboy della situazione. Mia madre (Anne De Yorgainge, ndr) era di origine russa. Da bambino ho vissuto la guerra e a Tunisi le bombe arrivavano perché gli aerei bombardavano la città di Biserta.
Tre bombe finirono in giardino a pochi metri da noi. Fu così che gli italiani benestanti vennero espulsi dal Paese e andarono in Italia. Io e mia madre arrivammo con una nave francese a Marsiglia. Da Marsiglia siamo andati a Ventimiglia e da lì raggiungemmo Roma. Potete immaginare le strade com’erano conciate...
Mio padre, nel frattempo, aveva trovato lavoro come becchino e aveva il compito di recuperare i cadaveri dei soldati francesi. Il cimitero militare francese l’aveva fatto lui... Poi per diversi anni ha trattato il marchio Lacoste, ma non l’ha saputo sfruttare. I negozianti venivano a cercarlo a casa. Le magliette costavano 2.800 lire e io gli dicevo: “Ma metti 100 lire in piu!”. Ma niente. A quei tempi erano di moda Lacoste e Fred Perry».
D. Ma lei all’epoca non vestiva forse Fred Perry?
R. «Per dispetto a Lacoste».
D. Da ragazzo giocava a calcio, ma poi arriva il tennis.
R. «Sì, giocavo nei ragazzi della Lazio e un giorno la squadra mi dà in prestito alla Ternana. Qualche tempo prima tuttavia ero andato in trasferta con il Tennis Club Parioli a Napoli e mi sono detto: “Beh, sono arrivato a Napoli, forse arrivo a Milano”. E lì ho preso la mia strada».
D. Ma, grazie anche al calcio, aveva gambe forti e un fisico solido. Questo l’ha aiutata nel giocare a tennis?
R. «Non ho mai avuto un crampo in vita mia. Qualche giorno fa ho conosciuto il giovane tennista Flavio Cobolli e gli ho detto: “Hai fatto bene giocare a pallone”. Sinner non conta perché è su un altro pianeta, ma Matteo Berrettini ha le caviglie più fragili. Oggi comunque i giocatori hanno fisici incredibili. Forse per rendere questo sport più umano bisognerebbe abolire la seconda palla di servizio e anche il gioco sarebbe ancora più interessante».
D. Quali sono state le vittorie che l’hanno resa più felice?
nicola pietrangeli foto mezzelani gmt272
R. «Quando ho vinto il Roland Garros per la seconda volta (nel 1960, ndr) e quando ho battuto Rod Laver a Torino nel 1961».
D. Com’era giocare contro il grande Rod Laver?
R. «Uomo simpaticissimo. A Torino aveva vinto il primo set, ma poi ha fatto quattro game in tre set. Lui dice sempre: “Meno male che contro Nicola ho giocato soltanto una volta sulla terra battuta”. Le altre volte, tranne una, avevo sempre perso al quinto set. Contro di lui, posso dire che me la giocavo».
D. Le donne in tribuna la guardavano e l’ammiravano. Ma qual è stata la donna che le è rimasta nel cuore?
R. «A parte mia moglie (Susanna Artero, ndr), che mi ha dato tre figli (Marco, Giorgio e Filippo, ndr), è stata Licia Colò. Abbiamo vissuto insieme, ed è stata la prima volta che avevo una casa. Stavamo a Casal Palocco, un po’ fuori Roma e passavamo le serate davanti al nostro bellissimo caminetto, magari a guardare un film... Eravamo una bella coppia».
D. I paparazzi vi seguivano?
R. «Io i fotografi li ho sempre rispettati... A Roma c’era il più famoso tra i paparazzi, Rino Barillari, che quando ci vedeva ci diceva: “A voi la foto non la faccio perché si vede che state bene insieme.
Che foto ve devo fa’?”».
D. Il jet set l’ha vista protagonista ed era amico di tanti divi. Come li ricorda?
R. «Omar Sharif, Charlton Heston, Marcello Mastroianni, per me erano veri amici non semplici conoscenti. Tutti avevano il campo da tennis in casa e volevano giocare con me. In coppia con Anthony Quinn a Los Angeles giocai contro Ion Tiriac e Ilie Nastase, che, all’epoca, erano la coppia numero 2 del mondo. E Tony mi disse: “Vedi abbiamo perso perché non giochi bene”. Allora pregai gli avversari di farci vincere almeno un set, e Tony disse. “Lo vedi che se giochi bene vinciamo?”».
D. Era molto legato anche a Ranieri III di Monaco.
R. «Sono quei personaggi da romanzo che si leggono nei libri. Giocavamo insieme a golf e ho conosciuto il suo lato privato, diverso dall’immagine pubblica. Ancora adesso nel Principato sono di casa».
D. Lea Pericoli, un’altra leggenda del tennis, è una sua grande amica. Che cosa vi lega?
R. «Cinquant’anni di amicizia, insieme abbiamo viaggiato molto. Insieme siamo stati persino sulle Ande. E pensi, mai nemmeno un bacio tra noi».
D. Qual è il futuro del tennis italiano?
R. «Meglio di così. Siamo la nazione numero uno, per i progressi che ha fatto la Federazione e per i risultati ottenuti».
D. Se dovesse dare un consiglio a Jannik Sinner, che le ha fatto gli auguri per il suo compleanno, che cosa gli direbbe?
R. «Continua così. Suggerisco piuttosto agli spettatori di osservarlo, ma anche di ascoltarlo. Ma avete per caso sentito che i suoi colpi risuonano più forte di quelli degli altri giocatori?».