Massimo Gramellini per il Corriere della Sera
Non è vero che non sembra italiano. Semplicemente non è l’italiano da commedia, creativo perché indisciplinato e cialtrone, che continuiamo a raccontarci di essere. E non è vero che non sembra giovane. Sinner conosce la timidezza e la fragilità, e ogni volta che, come nel secondo set contro Rublev, si tocca quei muscoli troppo sottili per un gioco così devastante temiamo stia per spaccarsi. Invece ogni volta, o quasi, si rigenera. Al pari di tante altre ragazze e ragazzi che mi è capitato di incontrare, è molto più completo e consapevole di quanto fossi io alla loro età.
Conosce l’arte dell’autocontrollo, non fa la vittima né il narciso e crede ancora nei sogni e nel valore della riservatezza, anche in amore. Abita la partita e la vita con calma, ma sempre in rimonta, come nel tiebreak di ieri. Tre anni fa, per tutti, era un predestinato. Un anno fa, per molti, un sopravvalutato. Adesso è.
Una promessa mantenuta e il simbolo sportivo di una generazione diversa che per pigrizia ci ostiniamo a soffocare di stereotipi, mentre il suo problema principale è di essere una minoranza esigua in un Paese disilluso, quindi di contare poco e di dover andare altrove per sentirsi riconosciuta. Sinner in un altrove esentasse ha messo la residenza, è vero, come tanti del suo lignaggio e con il suo ingaggio. Non sono il suo commercialista, ma se riportasse la residenza in Italia, diventerebbe definitivamente il mio tipo preferito di italiano.
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