Giuseppe Toti per il “Corriere della Sera” - Estratti
Bruno Giordano nonno. Come passa il tempo.
«Ma è il corso naturale della vita. E l’ho vissuto e lo vivo benissimo, con un piacere totale. D’altra parte, non è mica possibile avere sempre vent’anni, magari con la testa dei cinquanta, no?».
Giordano mantiene sempre un fisico bello tonico. Lo guardi e pensi che pure a 67 anni gli faresti giocare l’ultimo quarto d’ora delle partite. Specie se hai bisogno di mettere a posto il risultato. Anche da fermo, regalerebbe cose magnifiche. Domani Rai 3, in seconda serata, gli dedica una puntata de «L’avversario», realizzata con Marco Tardelli e prodotta da Rai Cultura e Stand by me. In effetti, Giordano, sono tanti gli avversari, tra difensori e portieri, a cui ha fatto vedere i sorci verdi.
«Ma ce ne sono stati altrettanti che mi hanno soffrire. Ti ritrovavi contro gente come Gentile, Vierchowod, Bruscolotti, Ferri. Per non parlare di Scirea e Franco Baresi».
Il portiere a cui provava più gusto fare gol?
«A Zoff, perché era il mito. Ancora oggi, quando ci incontriamo, mi manda a quel paese per il pallonetto e la doppietta contro la Juventus nel 1977 (vittoria della Lazio per 3-0 all’Olimpico) . Ma io gli rispondo che se li avessi fatti a qualsiasi altro portiere, nessuno li ricorderebbe più».
Lazio primo amore: domenica 12 saranno 50 anni dal primo scudetto, lei non ne aveva ancora 18. Bastava nascere un paio di anni prima per vincerlo con gli altri.
«Ma io pensavo che avremmo continuato quel percorso, che saremmo stati in grado di lottare per lo scudetto anche nelle stagioni successive. Invece, l’addio di Chinaglia e la morte di Maestrelli e Re Cecconi fecero crollare tutto».
Disse di no al presidente Viola e alla Roma: «Grazie, ma non posso». Pochi anni dopo, no ad Agnelli e alla Juventus: mai avuto dubbi?
«No, mai. Con tutto il rispetto. Non potevo tradire i laziali e la Juventus la tirava un po’ per le lunghe. Parlai con Boniperti e incontrai anche l’Avvocato. Ma alla fine andai al Napoli. Una delle scelte più felici della mia vita».
Platini grande, ma Maradona un’altra cosa.
«Diego era inarrivabile per chiunque. Divino e diabolico insieme, tutto quello che realizzava profumava di poesia. Chi ha inventato il calcio, lo ha fatto perché sapeva che poi sarebbe nato lui».
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Ha sfidato Cruyff, suo idolo giovanile, e Pelé all’epoca dei Cosmos: si è goduto il massimo del calcio mondiale di ogni tempo.
«Pelé in là con gli anni, ma che grandezza. Immenso. Cruijff la mia ispirazione, ho sempre cercato di imitare il suo modo di stare in campo. Pure i capelli mi facevo tagliare come lui. Maradona è stato l’apoteosi».
Il rimpianto resta la Nazionale. Il Mondiale dell’82 a cui non poté partecipare.
«Squalificato per il calcio scommesse, nel 1980, e a distanza di così tanto tempo non ho ancora capito perché. Avrei fatto parte di quella squadra incredibile e avrei vinto il titolo».
Ha avuto tanti allenatori.
«Troppi».
C’è qualcuno che le ha insegnato di più?
«Maestrelli per come gestiva le persone. Vinicio per la tecnica e la tattica: era avanti di quarant’anni».
Ha fatto l’allenatore. Poi, a un certo punto, la carriera si è fermata: come mai?
«Qualche decisione sbagliata, che oggi non rifarei mai. Ho accettato, pur di allenare, situazioni e società da cui invece dovevo stare lontano. Pensavo che la gavetta fosse determinante, nel calcio invece non è così».
Quando Sarri, il mese scorso, si è dimesso da allenatore della Lazio ha sperato in una chiamata di Lotito?
«Sì, perché si parlava di un traghettatore, e la Roma da poco si era affidata a De Rossi.
Ma non c’è stato nulla».
In Italia mancano i grandi attaccanti. Ora la Nazionale spera in Scamacca. Romano, tra l’altro.
«Scamacca è bravo, mi piace. Deve acquisire continuità ma con Gasperini crescerà tantissimo. Ha colpi importanti, niente tiri a giro ma solo tiri ignoranti, belli potenti verso la porta avversaria».
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Nonno di Giulia, la prima volta, grazie a Valentina. Sei mesi dopo di Ennio, grazie a Marco. Valentina è la figlia più grande, nata dal matrimonio con Sabrina Minardi, poi amante di Enrico De Pedis, boss della Magliana: quanto la irrita leggere ancora «la ex moglie di...»?
«Non mi ha mai irritato, in realtà, non ha mai spostato nulla. Io e Sabrina ci sposammo, poi ci separammo come succede a moltissime coppie, e ognuno ha imboccato la propria strada. Giulia ed Ennio sono bellissimi, mi regalano una felicità doppia. E me la godo tutta».
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