Maria Chiara Aulisio per ilmattino.it
Una lettera al cardinale Sepe, dopo quella che don Tonino Palmese aveva già inviato al Prefetto. E poi anche una “nota” all’indirizzo dell’assessore Alessandra Clemente chiamata in causa, insieme con il sindaco, dai sacerdoti napoletani. «Eminenza Reverendissima - scrive don Salvatore Giuliano, parroco nella basilica di San Giovanni Maggiore, una delle più antiche della cristianità - trovo veramente triste che mentre i potenti cancellano i nomi e i segni della fede dalle nostre città, noi cristiani restiamo in silenzio o, peggio, li appoggiamo. Lo stadio San Paolo resti al Santo che ci ha portato Gesù! Sento con umiltà la grande responsabilità innanzi a Dio di dirvelo».
Poche ma accorate parole che il prete dei Decumani ha condiviso con un gran numero di confratelli - da don Luigi Merola al decano don Carmine Amore, da don Lello Ponticelli a don Armando Sannino giusto per citarne qualcuno - che si associano alla sua amarezza e si dichiarano disponibili al dialogo e al confronto nel tentativo di trovare una soluzione condivisa.
Tutti d’accordo su un punto: no ai colpi di spugna, ok al San Paolo di Maradona così come a Milano c’è il San Siro - Meazza. «Il Consiglio dei decani - scrivono i preti - potrebbe valutare la proposta della doppia titolazione, sicuramente equilibrata, e poi passarla ai presbiteri». Il giusto compromesso per salvare la fede e onorare il campione.
Diversamente i sacerdoti non ci stanno e chiedono l’intervento di Crescenzio Sepe benché la competenza specifica non sia esattamente la sua. Dal punto di vista territoriale, infatti, la diocesi di riferimento è quella di Pozzuoli che include il quartiere Fuorigrotta. «Ben venga l’intitolazione a Maradona del principale impianto sportivo della città, se questo aiuterà la crescita umana e sociale della nostra terra purché - aveva scritto il vescovo Gennaro Pascarella - non si perda la memoria delle nostre radici e ci siano iniziative culturali che mettano in evidenza i fondamenti greco-romani e cristiani di questo territorio».
In altre parole: sì allo stadio Maradona, ma ogni tanto ricordiamoci un poco pure di San Paolo. È chiaro che quell’autorizzazione rilasciata da Pascarella non è piaciuta quasi a nessuno, men che meno ai preti di Pozzuoli che - tranne poche eccezioni - lo accusano di non averci neanche provato a ricercare una soluzione rispettosa anche di chi vorrebbe che San Paolo non venisse cancellato come si farebbe con una scritta sulla lavagna.
Dopo aver ragionato sulla decisione di Pascarella, i sacerdoti si rivolgono alle istituzioni. La prima è Alessandra Clemente alla quale - con una lettera - si ricordano anche le debolezze del campione argentino, oltre alla strumentalizzazione propagandistica della vicenda: «Il grande Diego ha sperimentato in modo acutissimo la fragilità umana: è stato cocainomane, si è seduto a tavola con i camorristi di questa città - gli stessi che hanno ordinato l’uccisione di Annalisa Durante e di tante altre vittime innocenti - ha lasciato figli ovunque perché non sapeva coltivare un rapporto d’amore e di fedeltà.
Ora è incredibile che un Santo che ha dato la vita per i valori del Vangelo venga scalzato da un calciatore. Ci sembra assurdo che colui che ha portato Cristo nella nostra civiltà sia sfrattato con tanta velocità e con l’assenso incomprensibile di una parte di chiesa silenziosa e sonnolenta». Intanto dalla Prefettura fanno sapere che l’istruttoria è ancora in atto anche se vale la pena considerare che si tratterebbe di intitolare un impianto sportivo - e non una strada o una piazza - a un grande calciatore, campione del mondo, che intorno a sè sta raccogliendo il consenso unanime dei napoletani. Proprio al prefetto, l’altro giorno, si era rivolto don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis: «Se ha risposto alla mia lettera? Non ancora.
In ogni caso mi fa piacere che in questi giorni si sia parlato di San Paolo nella duplice dimensione di santo ma soprattutto di personaggio che - spiega il sacerdote - nella storia dell’umanità ha contribuito al cambiamento di un’epoca totalmente nuova segnata appunto dal cristianesimo. Conservare il nome di San Paolo non vuol dire custodire una reliquia religiosa ma onorare una colonna della cultura e della storia utile alla civiltà e alla felicità delle persone».
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