Camilla Conti per “la Verità”
«Quello che conta non è il potere, è l'influenza che uno sa esercitare». È il motto che più ama ripetere Goffredo Maria Bettini, gran ciambellano del Pd romano, membro della direzione nazionale, già deputato, senatore, eurodeputato, nonché dominus dell'Auditorium della Musica, oggi ai vertici dell'istituto Luce-Cinecittà.
A fine agosto Bettini è uscito dalla buca del suggeritore di Nicola Zingaretti per tenere a galla l'alleanza Pd-5 stelle - di cui è stato grande sostenitore e regista - e con un lungo articolo pubblicato su Il Foglio ha fornito la sua ricetta: un centrosinistra «a tre gambe, con Pd, M5s e area moderata e liberale», più Matteo Renzi che «ha talento per progettare questo nuovo spazio. Sarebbe una svolta rispetto al suo ruolo di picconatore minoritario».
Gelida, a volte anche stizzita, la reazione da parte dei dem. Lo stesso Zingaretti ha subito preso le distanze dall'intervento «autonomo» perché «su questo punto con lui non la pensiamo allo stesso modo». Intanto il dibattito è stato aperto e Bettini - che molti pensavano ormai pronto al buen retiro nell'amata Thailandia - ha dimostrato che continua a «tirare i fili» e non solo di Zinga.
Di lui si rievoca la biografia: nato a Roma nel 1952, all'età di 14 anni si iscrive al Pci. Lì trova due «fratelli» (ipse dixit), il maggiore è Massimo D'Alema, «nella sua qualità di erede legittimo di quel patrimonio civile non rinnegabile e non cancellabile che è stato il Pci», l'altro è Walter Veltroni, «cui mi lega una complicità totale, quella che sopporta e supera anche i litigi che per qualche anno, in passato, ci hanno tenuti lontani».
In un recente ritratto a lui dedicato, l'Espresso ha ricordato il finto documentario del Kgb che fu proiettato alla Casa del Jazz per il sessantesimo compleanno di D'Alema, in cui alcuni degli ex compagni della Fgci ai tempi in cui era segretario, ripercorrono la sua carriera. Tra questi c'è anche Bettini che parla indossando una maschera da Groucho Marx.
Dei due, chi gli è sempre stato più vicino è però Veltroni che aiutò a fare il salto alla segreteria del Pd portando a livello nazionale il famoso «Modello Roma». Ora il tandem Goffredo-Walter starebbe lavorando a un progetto assai ambizioso: decidere il prossimo presidente della Repubblica, raggiungendo l'obiettivo mancato nel 2015 quando la coppia sponsorizzava Giuliano Amato.
Le manovre in vista del 2022 (ma ad agosto 2021 comincia il semestre bianco) sono del resto già iniziate. E la possibile candidatura di Mario Draghi - che ieri è stato definito da Luigi Di Maio «una risorsa per l'Italia» con un endorsement «peloso» - non fa paura solo a Giuseppe Conte. Trovare un'alternativa forte sarà un'impresa.
La soluzione del richelieu Bettini? Sperare che Super Mario respinga i corteggiamenti sfilandosi dalla partita e nel frattempo trovare l'accordo con i 5 stelle per ottenere il sostegno a Veltroni presidente in cambio del sostegno dem alla ricandidatura di Virginia Raggi al Campidoglio. Bettini, del resto, è uomo di mondo.
E ha sempre coltivato relazioni di tutte le sponde da Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e proprietario del Messaggero, a Domenico Bonifaci, proprietario del Tempo, dall'almirantiano Giuseppe Ciarrapico a banchieri come Luigi Abete che con la sua Bnl ha contribuito a far crescere l'Auditorium.
A Siena c'è chi dice che nei primi anni Duemila dietro l'ascesa di Caltagirone nel capitale del Monte dei Paschi, di cui poi diventò vicepresidente, c'era proprio Bettini. Ispiratore, riferiscono le stesse fonti, anche dell'ingresso avvenuto nel 2006 del gruppo Lamaro/Toti nella compagine azionaria della Sansedoni spa, la società immobiliare controllata dalla Fondazione Mps.
francesco gaetano caltagirone e malvina kozikowska foto mezzelani gmt80
Quelli, ricordiamolo, erano gli anni in cui la lotta interna ai Ds determinava le mosse del risiko bancario. Il lungo fidanzamento fra il Monte e la romana Bnl, che avrebbe dovuto portare a una fusione saltata almeno un paio di volte, aveva creato profonde fratture all'interno delle diverse correnti diessine.
La prima è nell'estate del Duemila, quando le nozze fra Siena e Roma vengono sponsorizzate dall'allora presidente Ds, D'Alema (eletto nel collegio del Salento, dove Mps nel '99 compra la futura Banca 121 per 2.500 miliardi di lire) con il placet del governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Altre pressioni arrivano anche da Vincenzo Visco, in quel periodo ministro del Tesoro, e da Giuliano Amato, l'ex premier tecnico della patrimoniale.
Ma il matrimonio con Bnl salta per lo stop di Veltroni (allora sindaco di Roma), con il sostegno dei prodiani. Poco dopo scoppierà la calda estate delle scalate bancarie e Bnl finirà nel mirino delle coop rosse capitanate dall'allora patron di Unipol, Giovanni Consorte. Il 31 dicembre 2005 Il Giornale pubblicherà stralci dell'ormai famosa intercettazione fra lui e Piero Fassino, allora segretario dei Ds, in cui quest' ultimo gli chiedeva: «E allora, siamo padroni di una banca?».
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È anche l'estate dei «furbetti del quartierino» (copyright Stefano Ricucci) che tenteranno, invano, di mettere le mani su Antonveneta. Da quelle scalate si sfila il Monte che però solo due anni dopo comprerà proprio la banca padovana dando inizio a tutti i suoi guai, soffocata dal groviglio con il Pd. Ora il risiko del credito sta per vivere una nuova stagione ma a dare il ritmo sono altri «poteri forti» basati a Milano e Francoforte. E nella partita per il Quirinale il fratello maggiore D'Alema viaggia su un'altra galassia, assai più vicina a Mattarella e al «team Draghi».
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