Massimiliano Nerozzi per corriere.it
All’improvviso — «era il luglio 2010, durante l’udienza di separazione» — Matteo Sereni si ritrovò l’anima devastata e il corpo distrutto: «All’epoca giocavo a Brescia, con alcuni anni di contratto, ma nel giro di poco mi vennero tre protrusioni cervicali e un’ernia. Mi trascinavo per le scale: e sono crollato». Accusa infamante: abuso su minori. Ne è venuto fuori, da innocente, con due archiviazioni (dei gip di Torino e Cagliari), ma è stato un incubo.
Matteo Sereni, come s’è salvato?
«Con la speranza che, alla fine, la verità avrebbe trionfato. E con l’amore delle persone che mi sono state vicino».
Chi?
«A partire da Stefania, la mia compagna, che mi ha dato il supporto e l’amore che servivano: con lei, e la nostra bimba, Sofia, siamo riusciti a rimanere a galla».
Che ha pensato l’altro giorno, quando è finita?
«Felicità, perché l’incubo era finito, ma a dir la verità non mi veniva voglia di gioire, perché sono stati anni di preoccupazioni, tormenti, attimi di sconforto. Se ti scontri con certe cose, cambi».
Quando è iniziato tutto, invece, come s’era sentito?
«Mi sono accorto della gravità dell’accusa giorno dopo giorno, con il passare del tempo. Ed è stato terribile: non riesci più a fare nulla, il tuo lavoro o quel che avresti voluto. Forse perché le porte un po’ ti si chiudono, a prescindere che tu sia colpevole o innocente».
Ci sono amici che non si sono più fatti sentire?
«Se c’è stato chi parlava male non so: mi basta sapere che i miei ex colleghi, gli allenatori, i presidenti, non hanno mai dubitato di me».
Chi di questi le ha dato la forza?
«Nomi non ne faccio, per non mancare di rispetto e coinvolgerli: ma loro lo sanno, perché li ho sentiti e ringraziati. Sono persone vere».
Oltre all’accusa, s’è mai sentito addosso il sospetto?
«Questa è una vicenda che ho vissuto sulla mia pelle, e per la quale hanno sofferto le persone care, da mia mamma a mio fratello. Papà è mancato proprio quando è iniziato tutto questo. E di quelli che mi incrociano per strada e magari mi borbottano dietro qualcosa non mi importa».
Undici anni per uscirne: pensieri sulla giustizia?
«Entri in un sistema nel quale non sai dove vai a finire. Io ho avuto la fortuna di avere due angeli, i miei avvocati, Giacomo Francini e Michele Galasso, che hanno smontato le montagne di accuse e di fango gettati su di me».
Che cosa le resta?
«Ho saputo di non essere l’unico, in Italia, a essere accusato ingiustamente. Anzi, durante la mia vicenda, in tanti mi hanno fatto sapere cos’era capitato a loro. In questo campo si deve ancora migliorare e per questo, vorrei fare qualcosa».
Cioè?
«Appena potrò, darò sostegno ai papà e alle persone che soffrono ingiustamente, mi batterò per la loro causa. Non ho la presunzione di sapere, ma davvero vorrei poter dare un contributo».
Cosa direbbe a chi si ritrova nella sua situazione?
«Che prego per lui».