Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
Arrigo Sacchi, il campionato si è riaperto?
«Direi di sì».
L'ha sorpresa un Napoli così timido a San Siro?
«Alcuni giocatori non sembravano quelli che abbiamo visto finora: mi sono chiesto se Kvaratskhelia fosse il fratello gemello...».
Spalletti deve allarmarsi?
«Non è una catastrofe, ma deve ritrovare mentalità vincente, entusiasmo, generosità, passione. E quel gioco brillantissimo fatto finora».
È un'Inter da rimonta?
«Ha giocato la sua partita: primo non prenderle, difendere con tutti e attaccare con pochi. Però è stata più pericolosa del Napoli».
Inzaghi ha esaltato la voglia dei suoi di aiutarsi.
«L'Inter ha una grande rosa: Lukaku e Dzeko sono bravi e poi ne entrano altri due di grande valore. Ma per me una squadra deve essere un collettivo, dove tutti praticano l'aspetto offensivo e quello difensivo, in continua evoluzione, uniti da un filo invisibile che è il gioco. E in Italia di squadre così ce ne sono veramente poche».
Tra queste c'è il Napoli?
«Il Napoli che abbiamo visto nella prima fase era stata la squadra più bella, divertente e anche più vincente. Senza bellezza è difficile vincere».
Per Spalletti il lavoro da fare è soprattutto mentale?
«A Milano e a Torino c'è una mentalità vincente. A Milano più nel Milan che nell'Inter, che pratica un calcio tattico, con una prevalenza del non gioco, dove si confida nel singolo o nel contropiede».
È Lukaku che favorisce questo atteggiamento?
«Lukaku si sta muovendo come non si era mai mosso e migliorerà ancora. È proprio un problema del calcio italiano. I padri fondatori di questo sport lo avevano pensato come uno sport offensivo, ma in Italia si è trasformato in individuale e difensivo. Questo ci ha permesso di vincere qualcosa, ma mai pensando di essere i più bravi. Sa cosa mi disse Pelé a Euro 2000?».
Che cosa ?
«"Avete dei buoni giocatori, ma non giocano mai al calcio". Ed era vero. Perché per noi il calcio non è coraggio, non è bellezza. E senza queste cose non c'è innovazione».
Nel Milan vede una scintilla di innovazione o no?
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«La cosa importante è la compattezza, senza la quale non ci sono sinergie, collaborazione, comunicazione e interiorizzazione. Le distanze sono fondamentali. È un blocco che si muove avanti e indietro: il Milan quando lo fa, nasconde quello che non è stato capace di nascondere il Napoli: perdere un po' di autostima significa cominciare ad avere più paura che coraggio».
È il Milan l'anti-Napoli?
«Acquisire una mentalità vincente non è facile. Questi ragazzi hanno compiuto un capolavoro l'anno scorso e stanno cercando di ripetersi: dovranno fare qualche sforzo per essere un collettivo. C'è poi un'altra valutazione».
Quale?
«Il Milan, mio e di Capello, ha stupito tutti, creando un grande collettivo. Ma quel Milan c'era per il club che aveva alle spalle: con la sua storia, la sua visione, il suo stile. Il club viene prima della squadra, così come la squadra viene prima del singolo».
Con l'unione di queste tre componenti si fa la storia?
«Le racconto un aneddoto: ero nelle Marche a presentare un libro, in una cittadina che era stata colpita dal terremoto. Un uomo, tra le cose che aveva salvato dalla sua casa, aveva la prima pagina dell'Equipe del giorno dopo la nostra vittoria sulla Steaua in Coppa Campioni, nel 1989: "Usciti da un altro mondo" era il titolo. Tutti si aspettavano che dopo il primo gol, tornassimo indietro a difendere. Invece ci siamo fermati dopo il quarto gol: quando hai autostima in quello che fai, non ti fermi mai. Se fai un gol e lasci il gioco agli altri non credi in quello che stai facendo. E le vittorie senza bellezza restano negli almanacchi, ma non nella testa delle persone».
A Lecce c'è stato l'eterno ritorno del razzismo.
«Nessuno di noi ha la coscienza a posto: non abbiamo aiutato le persone ad essere educate. Noi vogliamo vincere come viviamo. E in che modo viviamo? L'Unione europea tre-quattro anni fa ha stabilito che il 50% della corruzione in Europa era italiana: il calcio è il riflesso della società e della cultura di un Paese. E fare squadra da noi è una delle cose più improbabili. Quando si vince, alla fine va bene tutto.
Ma non è così. Se vogliamo migliorare dobbiamo dire le cose come stanno: finché pensiamo che i soldi possano aggiustare tutto, lo spettacolo non sarà dei migliori».
La Juve ha tante assenze, una situazione ambientale non facile, ma viene da sette vittorie senza subire gol. Allegri naviga in ogni mare?
«Non bisogna mai dimenticare i soldi. La Juve ha speso più di tutte e quindi è anormale se non vince».
Che ne pensa di una vittoria come quella di Cremona?
«Che ci sono dei giocatori di qualità. Per quanto riguarda il gioco, mancano diversi uomini. Ma siamo sempre nel campo del tatticismo che c'è anche nel Paese e significa giocare sull'errore dell'altro: il gol è arrivato perché il portiere ha sbagliato totalmente la barriera sulla punizione».
È lecito aspettarsi qualcosa di più dalla Roma?
«Mourinho è grande personaggio, un istrione, un comunicatore. Ama di più vincere con poco gioco. Però ha tanti pregi. E sa gestire i gruppi».
C'è una squadra che le piace più di altre?
«La Lazio, che spende sempre poco, gioca un buon calcio. L'Atalanta oggi fa più fatica, ma per la stima che ho in Gasperini spero possa risolvere i problemi: quello che ha fatto rimarrà nella storia».
Questi 52 giorni di sosta porteranno altre sorprese?
«Guardando i problemi di Liverpool, City o Psg, direi proprio di sì. Vale per chi ha giocato in Qatar, perché nel Mondiale tu dai la vita. E bisogna anche vedere chi reagisce più velocemente alla lunga pausa: peserà più la testa. Ma anche le gambe hanno preso una bella botta».
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