Alberto Mattioli per "la Stampa"
Un giorno il campanello di casa suonò alle otto del mattino. «Mamma lo racconta sempre: gli ho fatto un caffè, e da quel momento siamo stati inseparabili».
Mamma è Ombretta Colli; papà, Giorgio Gaber; chi parla, Dalia Gaberscik, figlia della coppia. E lui, naturalmente, è Franco Battiato, «che da piccola mi faceva un po' impressione: altissimo, magrissimo, pallidissimo, con addosso un mantello nero».
Era il gran finale degli Anni 60, fra gli ultimi bagliori della nostra età dell' innocenza e gli anni di piombo. Milano era vitalissima, il giovane Battiato la scopriva affascinato («Allora era una città di nebbia, e mi sono trovato benissimo») e i Gaber scoprivano Battiato, primi a intuire che sotto quel mantello c' era del genio. Il tutto al Club 64, il cabaret dove Battiato apriva gli spettacoli suonando canzoni siciliane «fintoetniche» (definizione sua).
Gaber ascoltò, fu colpito, gli disse: «Vieni a trovarmi». E in effetti Battiato a Gaber deve molto, a partire dal nome. La storia si svolge il 1° maggio 1967, a Diamoci del tu. «Era un programma televisivo condotto da Caterina Caselli e da mio padre. Ognuno dei due presentava un giovane cantautore: Gaber, appunto, Battiato; Caterina, Francesco Guccini.
All' epoca Battiato si chiamava ancora con il suo vero nome, Francesco. Per evitare confusioni con Guccini, papà lo ribattezzò Franco. E Franco è rimasto». Così cominciò un' amicizia inossidabile, cementata al tavolo da poker. I giocatori erano Gaber, Battiato, lo scrittore iperintellettuale Roberto Calasso, fondatore dell' Adelphi, e sua moglie Fleur Jaeggy, pure scrittrice.
Erano poker letterari: «Non giocavano soldi ma libri. I volumi, ovviamente Adelphi, sostituivano le fiche. Ovvio che "pagava" sempre Calasso», ricorda Gaberscik.
Poi c' è la collaborazione artistica. Battiato fu a lungo il chitarrista di Ombretta, anni di viaggi pazzi e divertentissimi su e giù per l' Italia, a bordo di un Ford Transit. Colli era una bella ragazza dei favolosi Sixties, ma già tosta come quelle dei 70. E così successe quel che Battiato raccontò poi a una conferenza stampa di un Festival Gaber.
Sempre Gaberscik: «Si esibivano in una balera di paese e, come succedeva all' epoca, il pubblico era proprio sotto il palco. Mamma indossava la minigonna. Successe che un ragazzotto locale allungò una mano dove non doveva.
La mamma non ci pensò due volte e gli spaccò il microfono in testa. E Franco, preoccupatissimo: certo, Ombretta, tu ti scateni, ma poi chi deve fare a pugni siamo noi».
Nel frattempo Gaber aveva presentato Battiato ai primi discografici. Insieme, scrivono la sigla di Diamoci del tu, titolo Gulp Gulp. Poi, con Giusto Pio, Battiato compone nel '78 tutte le musiche (sintetizzatori, fiati e quartetto d' archi) per uno degli spettacoli più mitici del teatro canzone di Gaber, Polli d' allevamento. Gran successo.
Per Battiato manca poco all' appuntamento con la celebrità, che arriva un po' a sorpresa, forse anche per lui, nell' 81 con La voce del padrone. Franco non perde il suo centro di gravità, i Gaber un po' sì: «Noi sapevamo da sempre che era un gigante ed eravamo pazzi di gioia che l' avesse scoperto anche il resto del mondo», sempre Gaberscik. «Era l' amico di una vita. La mamma e Franco si sono sentiti per l' ultima volta un mese fa». Altro che l' intellettuale algido e macerato. «Era un uomo divertentissimo. Non c' è stata cena in cui non si ridesse. Detestava solo una cosa: la stupidità».
calasso Calasso arbasino gaber ombretta colli gaber ombretta colli gaber ombretta colli
FRANCO BATTIATO FRANCO BATTIATO PIPPO BAUDO FRANCO BATTIATO franco battiato 1 FRANCO BATTIATO franco battiato da giovane franco battiato