LUIGI PANELLA per repubblica.it
Capelli lunghi, tecnica individuale notevole, scarsa attitudine per gli schemi, sia in campo che fuori. Avrebbe avuto le potenzialità per una carriera superiore a quella avuta, ma se avesse giocato con Juventus o Milan o Inter, Ezio Vendrame, morto oggi a 72 anni, probabilmente non sarebbe ricordato come genio, sregolatezza, irrequietezza del calcio italiano. Due sono gli accostamenti che ne sono stati fatti: il più gettonato, al limite dello scontato, è quello a George Best, il fuoriclasse nordirlandese tutto talento, bellezza, donne e alcolici.
L'altro (più che altro per la capigliatura e la postura in campo) con l'argentino Mario Kempes. A lui in realtà piacevano tre calciatori su tutti. Della sua tarda adolescenza Gigi Meroni. Della sua epoca calcistica Gianfranco Zigoni, uno capace di andare in panchina con la pelliccia ed il cappello da cow boy in un Verona-Fiorentina perché Valcareggi non lo aveva fatto giocare. Più avanti Diego Armando Maradona. Tutta gente insomma che con le regole aveva poco a che spartire.
Calciatore, poeta, scrittore, uomo insofferente alla forma. Un suo libro 'Se mi mandi in tribuna godo' è una frustata agli aspetti spesso ipocriti del mondo, del calcio e non solo. Un titolo che è tutto un programma, e che prende origine da una trasferta del Napoli a Cagliari. Mandato in tribuna dal tecnico dei partenopei Vinicio, che nel rivaleggiare con la Juventus nella corsa allo scudetto del 1975 non aveva tempo e forse voglia di inserirlo negli schemi, Vendrame ne approfittò per amoreggiare (le donne sono state una delle sue grandi passioni) nel bagno dello stadio con una ragazza conosciuta da poco...
Già, perché per raccontare Vedrame più che le squadre in cui ha giocato (soprattutto Lanerossi Vicenza e Padova, con l'intermezzo fatto di 3 presenze a Napoli), è meglio citare frasi e aneddoti, sparsi qua e la come timbri durante interviste e partite. Quando era nel Padova, durante un incontro di fine stagione con la Cremonese, uno di quelli in cui il punto stava bene a tutti e si palleggiava stancamente senza fingere un accenno di agonismo, pensò bene di vivacizzare la situazione. Palla presa al limite dell'area avversaria, campo percorso al contrario puntando il proprio portiere, poi risparmiato solo all'ultimo istante quando il battito lento di qualche tifoso era già andato fuori giri.
Sempre al Padova, durante una partita, lasciò il campo come se niente fosse per andare a salutare un suo grande amico, il poeta e cantautore Piero Ciampi, che aveva scorto in tribuna. E ancora, dopo aver accettato la promessa di una somma di denaro per infastidire l'Udinese, a cui servivano punti promozione, stizzito dai fischi dei friulani giunti in Veneto, giocò una delle sue più grandi partite portando la sua squadra alla vittoria.
Nel rifugiarsi nella poesia, si ritirò in una frazione vicino al suo paese, Casarsa della Delizia, dove è sepolto Pier Paolo Pasolini ed il pubblico italiano dovette attendere il 2005 per ritrovarlo. Paolo Bonolis, che conduceva il Festival di Sanremo, lo chiamò in un ruolo che in campo gli era sconoscuito, quello del battitore libero. Il palco come il campo, e Vendrame non si tirò indietro, con una entrata a gamba tesa su Gigi D'Alessio che alzò un vespaio di polemiche.
Al calcio rimase legato allenando gli unici ai quali pensava di poter insegnare qualcosa, i giovani. Risultati niente male. "Ma sarebbe bello allenare una squadra di orfani", ebbe a dire. Non gli piacevano i genitori che si intromettevano, e probabilmente lui non piaceva ai genitori, specialmente a quelli perbenisti. Specialmente quando, tra le altre cose,, teorizzava l'accantonamento dei giochi elettronici per sostituirli, in attesa di qualcosa di meglio, con il sesso fai da te...