Gabriele Gambini per "La Verità"
nasser al khelaifi e alerksander ceferin
Come si diceva nel Gattopardo? Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi? Forse dalle parti dell'Uefa devono averlo letto a fondo, il romanzo di Tomasi di Lampedusa, perché dopo aver fatto fuoco e fiamme per fermare il progetto della Superlega, promettendo un futuro al calcio professionistico drenato dalle spese pazze e in grado di divertire i tifosi di ogni latitudine europea, salvaguardandone le specificità territoriali e le maglie, eccoci tornati di nuovo alla Superlega.
Mascherata, mostruosa, vorace, e con un portafoglio esplosivo, con attori diversi da Barcellona, Real e Juventus, ma pur sempre decisi a ingurgitarsi il carrozzone del pallone come un Leviatano farebbe con il cittadino medio.
Sono il Psg e il Manchester City degli sceicchi emiratini e il Chelsea del magnate russo Roman Abramovich: dominano il mercato spendendo e spandendo, allestiscono squadre come in uno scambio di figurine tra scolaretti visionari, e il Fair Play Finanziario per adesso li sta graziando.
La parte del leone ruggente la svolgono i parigini. Il Paris Saint Germain ricorda un'entità sovranazionale che valica il concetto stesso di club di calcio. Gigio Donnarumma non rinnova con il Milan e se ne va a parametro zero. Ecco pronto per lui un contratto da 7 milioni netti l'anno.
Poi arriva Sergio Ramos dal Real - 15 milioni più bonus - Wijnaldum dal Liverpool, 10 milioni all'anno, il terzino Achraf Hakimi dall'Inter, 60 milioni di cartellino pagati ai nerazzurri. Il baby fenomeno Mbappé è in attesa di un potenziale rinnovo di contratto a cifre disumane.
Fino alla ciliegina su una torta di per sé capace di mandare in tilt la glicemia solo a guardarla. È stato scritturato Lionel Messi dal Barcellona, per lui sarebbe pronto un biennale da 40 milioni lordi l'anno, l'obbligo di far quadrare i bilanci imposto ai tutte le società della Liga spagnola ha imposto ai catalani di lasciar andare il loro beniamino più prezioso.
In parole povere: la società di Nasser Al Khelaifi, che dal progetto Superlega di aprile si era subito defilata, oggi spende 572 milioni di euro l'anno per gli stipendi dei suoi giocatori. 141 in più del Real Madrid, 258 in più di Manchester City e Bayern Monaco, 336 in più della Juventus, 472 in più del Lille, che nella stagione scorsa ha vinto la Ligue 1 bagnando il naso proprio ai parigini.
Certo, ora dovrà effettuare cessioni da circa 200 milioni di euro per garantire un bilancio accettabile secondo parametri europei debitamente addolciti a causa della pandemia, diventati, ironia della sorte, facilitatori di una simile bulimia mercatista.
Ma l'arrivo di Messi rende evidente un aspetto emblematico della vicenda: non si tratta di una scelta tecnica figlia di un progetto tattico, solo di smania di collezionare campioni per sbancare il banco, trasformando di per sé la Ligue 1 in una noiosa barzelletta e firmando un patto col diavolo che rende inevitabile la vittoria della Champions League, pena una figuraccia.
Discorso analogo per citizens e blues. Da quando Pep Guardiola siede sulla panchina del City, sono stati investiti circa 1.000 milioni di euro sul mercato. Il recente acquisto di Jack Grealish per 117 milioni di euro è diventato il più costoso nella storia della Premier League e il trasferimento del calciatore inglese dall'Aston Villa all'Etihad Stadium è il sesto più dispendioso della storia del calcio tutto.
City Football Group, società a cui fa capo il City, di cui è presidente Khaldun al-Mubarak, ha consentito una spesa di 213 milioni nel 2016-2017; 305 milioni nel 2017-2018; 161 nel 2020-2021; 155 nel 2019-2020 e 70 nel 2018-2019.
La musica non cambia se si dà un occhio a quel che viene combinato a Londra, casa Chelsea. Romelu Lukaku dovrebbe arrivare a 115 milioni di euro dall'Inter, facendo leva sulle difficoltà economiche dei cinesi di Suning, ben felici di privarsi della prolifica punta belga per ripianare i debiti interni.
In pratica, dopo aver trionfato in Serie A, i nerazzurri perdono Hakimi e Lukaku, i due pezzi più pregiati in rosa. Con le difficoltà delle grandi spagnole a causa delle restrizioni interne alla Liga e con le italiane impossibilitate a competere contro cifre tanto consistenti, l'unico paletto capace di compensare la foga finanziaria dei tre giganti d'Europa sarebbe il benedetto salary cup, il tetto salariale agli ingaggi.
Se e come prenderà forma, lo si verificherà a breve. Nel frattempo si avvicinano i discussi Mondiali di Qatar 2022, previsti dal 22 novembre al 18 dicembre, evento che sta molto a cuore alla Uefa, considerati i rapporti tra il numero uno Aleksander Ceferin e Al Khelaifi.
Qatar Airways è stato sponsor principale di Euro 2020, il marchio televisivo qatarino Be-In ha da poco investito 500 milioni di euro per i diritti tv delle coppe europee per il Medio Oriente, Nord Africa, Hong Kong, Malesia, Brunei e Singapore. In più, proprio Al Khelaifi ha rimpiazzato Andrea Agnelli nel ruolo di presidente del Comitato Esecutivo della European Club Association (Eca), che proprio attorno al dossier Superlega si era scambiato insulti di fuoco con Ceferin.
Svariati indizi consentono di insinuare il sospetto che l'Uefa non agisca per regalare il calcio ai suoi veri padroni, i tifosi, come da vulgata corrente, ma per un'altra, stuzzicante ragione, sintetizzata in un detto popolare assai diffuso: non lo faccio per soldi, ma per quattrini.