Paolo Condò per “la Repubblica”
carlo ancelotti esulta con modric
La finale di Champions ha chiuso la stagione dei club con una nuova vittoria del Real Madrid guidato da Carlo Ancelotti. La sottolineatura sul tecnico non è sciovinismo, o almeno non solo, perché quest' anno ha completato il suo palmarès rendendolo inavvicinabile: con la Liga ha vinto i 5 campionati major, mentre la quarta Champions lo pone un gradino sopra Paisley e Zidane.
Sono risultati che nessuno replicherà per tantissimo tempo ma che non faranno scuola, dando vita a un - ismo , perché la duttilità tattica intrecciata all'approccio umano non si può copiare. Si può copiare - di solito male - il calcio posizionale iperoffensivo di Guardiola, il bunker attivo di Simeone oppure il gegenpressing di Klopp.
Non è semplice, ma ormai lo trovi stampato sui manuali: replichi moduli, movimenti e principi di gioco, e tanti auguri. La capacità di mettere i giocatori a loro agio ottenendone il massimo è un'arte, invece. Non è scritta sui libri, devi svilupparla nel tempo imparando ogni aspetto del gioco - in modo meno specialistico, per forza di cose - e soprattutto il contesto adatto alle varie applicazioni.
Sabato sera Ancelotti ha spiegato che la difesa così bassa ha tolto ai velocisti del Liverpool lo spazio nel quale lanciarsi e travolgere tutto: una strategia di grande umiltà, specie se ti chiami Real Madrid, perché partiva dal riconoscimento che l'idea forte in campo era quella inglese, e lui per prevalere doveva neutralizzarla.
Sapeva di aver bisogno di alcune prestazioni individuali supreme, da Courtois a Casemiro, ma l'empatia ben percepibile con la squadra gli diceva che sarebbero venute, e così è stato. Da parte sua il Liverpool ha giocato una partita coraggiosa e coerente. Ha perso perché si è lasciato colpire lì dove tutti sapevano che il Real ci avrebbe provato, ovvero lo spazio alle spalle di Alexander-Arnold.
Klopp ha pensato che il gioco valesse la candela, perché le discese del suo terzino sono parte integrante del piano tattico, e non vediamo superbia in questa scelta perché scelta in fondo non è: i Reds giocano sempre così. La superbia sta nell'aver riproposto per la terza volta in tre finali (Champions, coppa di Lega, Fa Cup) un tridente nel quale il magnifico Luis Diaz, acquisto-boom di gennaio, ha costretto Sadio Mané a traslocare dalla corsia sinistra al centro, dove rende molto meno.
Il Liverpool aveva vinto le coppe inglesi ai rigori dopo due 0-0 al 120'. Con la partita di Parigi fanno quindi tre finali (totale 330 minuti) senza lo straccio di un gol, e questo da parte di una squadra che in stagione ne ha segnati 147. Ragionando sui precedenti, forse Klopp avrebbe fatto meglio a partire con Firmino o Jota centravanti, per mettere a proprio agio Mané e riservare a Diaz la ripresa. Forse. Di certo Mané ha annunciato ieri l'addio al Liverpool, e per quanto fatto dal senegalese in questi anni è una notizia pesante.
Da tempo abbiamo superato la fase nella quale il risultato di ogni partita segna un cambio di stagione, e quindi occorre trarre leggi generali un paio di volte alla settimana: il tramonto della scuola spagnola, l'affermazione del modello tedesco, lo strapotere del calcio inglese e così via. Scemenze. La possibilità di vincere in molti modi è il segreto che rende il pallone così godibile e la distinzione avviene tra chi lavora seriamente o meno, a prescindere dai fondamentali che applica.
Delle varie stagioni ci piace al più provare a cogliere qualche tendenza, qualche ricorrenza che non è mai perfettamente coerente - è impossibile - ma disegna una strada più battuta di altre. Ecco, in quest' ottica la 2021-22 ci è sembrata una stagione nella quale l'umiltà ha prevalso sulla superbia.
Il modo in cui Ancelotti evita di prendersi troppo sul serio è sotto gli occhi di tutti: i risultati di una leggenda ottenuti con l'atteggiamento di un amico di famiglia. Pioli ha portato il Milan oltre le nuvole senza mai calare dall'alto il suo magistero, come un insegnante in gita scolastica (tanto a riprendere i reprobi ci pensava Ibra). Lo stesso Mourinho, che dell'umiltà - ehm - ha sempre avuto un concetto molto Special, ha puntato fin dall'inizio la coppa ultima nata, quella meno importante, per farne la base del riuscitissimo rilancio popolare della Roma.
Il girone dei superbi è dominato dal Paris St. Germain, il cui progetto stellare è naufragato agli ottavi di Champions tra i fischi della tifoseria: persino un totem come Messi ne esce con l'immagine acciaccata.
Ha avuto tratti di superbia Guardiola, nella contesa con Simeone: Pep è talmente grande da aver comunque portato a casa un'altra Premier, ma alcuni toni sono stati esagerati, ed è doveroso dirlo. È stato superbo Cristiano Ronaldo, che ha pensato di lasciare la Juve per migliorare il proprio destino, e l'ha invece peggiorato uscendo dal giro Champions. Ha perduto l'umiltà Max Allegri, disperso nell'ormai stantia polemica sul gioco che non conta niente della quale si è fatto paladino, mentre nel secondo anno di rebuilding della Juve ce ne sarà un gran bisogno.