Mattia Chiusano per "la Repubblica" - Estratti
La Francia vuole l’Oval, la cattedrale del pattinaggio di velocità di Torino 2006, dove divenne famoso per un breve periodo lo skater Enrico Fabris.
Ci farà le sue Olimpiadi invernali, quelle del 2030, appena assegnate. Invece di costruire un nuovo impianto sul proprio territorio, prende in affitto quello italiano, portando all’estero un pezzetto dei Giochi per riattivare una struttura già esistente.
Tutto quello che l’Italia ha scelto di non fare per il 2026: perché ha preferito una pista di pattinaggio nuova a Milano e perché ha accettato l’azzardo di una pista di bob a Cortina pur di non andare oltre confine.
L’Oval sta ancora lì, è usato ora come polo fieristico, ma è già predisposto per riattivare le canaline del ghiaccio. Per le stesse gare, Milano Cortina sta costruendo una struttura provvisoria alla Fiera di Rho. Una soluzione politica partorita dopo anni, tra rivalità, veti e sovranismi.
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Ma perché un’Olimpiade francese si dovrebbe disputare anche in Italia? Perché tira una brutta aria per i Giochi. Tra previsioni di costi mai rispettate, debiti scaricati sui cittadini, referendum contrari delle comunità interessate, la rosa delle candidate si è sempre più ristretta. Al punto che per le Olimpiadi del 2030 si è presentata una sola nazione, la Francia, con le Alpes françaises e un insieme di territori dall’Alta Savoia a Nizza. Ma i francesi non hanno una tradizione nello speed skating, e nemmeno un impianto olimpico.
Così si sono appellati a quelle linee guida del Cio nate dopo le edizioni faraoniche e autocratiche di Pechino e Rio, le cattedrali nel deserto o gli scheletri conficcati nelle montagne come la pista di bob di Cesana. Un’altra eredità di Torino 2006, abbandonata nel 2011, simbolo di quegli sprechi che spingono oggi il Comitato olimpico a prediligere soluzioni sostenibili, utilizzando impianti esistenti, anche all’estero. Come farà la Francia, come avrebbe dovuto fare l’Italia.
L’Oval faceva parte del Masterplan olimpico italiano. Ma il primo progetto del 2018 fu bocciato dalla giunta M5s di Chiara Appendino che voleva il recupero totale degli impianti di Torino 2006 e la riqualificazione di aree dismesse. Presentò così al Cio un progetto alternativo a quello lombardo e veneto, col risultato di far sfilare il Piemonte dalla candidatura unica italiana e far nascere un asse che andava dal sindaco di Milano Sala al governatore Zaia, con la benedizione del numero 1 del Coni Malagò e del presidente del Cio Thomas Bach.
Nei piani di Milano Cortina il pattinaggio su velocità era allora previsto nel nuovo Ice Rink all’aperto di Baselga di Pinè, che però non sarà pronto in tempo. Serviva un piano B: l’Oval è stato rivalutato (il primo progetto chiedeva 9,6 milioni per rimetterlo in funzione) e ancora scartato. Per ragioni di campanile — tenere a Milano le gare e non restituire neanche le briciole a Torino — ma anche per sposare la filosofia degli impianti provvisori caldeggiata dal Cio l’Italia ha scelto di restare in Fiera, a due passi dal quartier generale del comitato organizzatore nella Allianz Tower: qui sorgerà la pista, al costo di circa 12 milioni. E lo speed skating richiamerà migliaia di tifosi dal Nord Europa e dall’Olanda.
Ma questa è anche un’Olimpiade sovranista, a qualsiasi costo. Pronta ad accettare il grande azzardo nella frazione Ronco di Cortina, dove era stata dismessa la storica pista di bob, rilanciata con un atto di forza da Matteo Salvini e Luca Zaia. Affidata con un progetto definito light all’impresa Pizzarotti, costo 81,6 milioni, con tempi di realizzazione che nemmeno in Cina: un anno. Nel sopralluogo di tre settimane fa Salvini ha verificato che i lavori sarebbero in anticipo di una settimana su un calendario comunque estremo, Poco rassicurante per una pista su cui gli atleti rischiano la vita a più di 140 kmh. E c’è sempre la beffa dietro l’angolo: pagare la pista di bob a Cortina e poi, se non sarà pronta, affittare comunque quella di St. Moritz.
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