Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
Dopo aver letto il primo lancio dell’intervista-fiume di Riccardo Trevisani a Bonucci, ho inviato questo messaggio a Leonardo: “Aiutami a scrivere qualcosa di intelligente su Bonucci che oggi ha raccontato le sue verità”. Sciacquati in fretta e furia la bocca e lo smartphone, l’ho cancellato e ho fatto da solo. Sulla qualità del mio intervento nutro qualche dubbio...
La partita d’addio di Bonucci alla Juve si giocherà in tribunale. Come un divorzio qualunque, ed è questo l’aspetto più triste. Dodici anni insieme - tra molti alti, qualche basso e alcuni bassissimi - si chiudono nel peggiore dei modi. Davanti a un arbitro seduto.
Al giornalista di Mediaset Bonucci ha dichiarato di essersi sentito umiliato dalla Juve; dalla Nuova Juve che - particolare importante - aveva ereditato una situazione complicatissima per immagine pubblica, conti e altro ancora, e ha così deciso che non avrebbe potuto permettersi di fare sconti a nessuno, nemmeno al capitano.
Di finali antipatici è piena la storia del calcio e dei campioni. Penso all’addio di Paolo Maldini al Milan di Berlusconi e Galliani, a Totti maltrattato dalla Roma di Pallotta (le colpe ricaddero tutte su Spalletti, che fu solo strumento). Anche la chiusura del rapporto tra Del Piero e la Juve di Agnelli non fu il massimo, pur se consumatasi con modalità differenti, giro di campo, applausi e lacrime: Andrea usò attenzioni superiori anche perché da fuoriclasse come Alex e Buffon aveva ottenuto sacrifici e successi.
A tal proposito ricordo che il recordman italiano di separazioni dolorose, Roberto Baggio (Fiorentina, Juventus, Milan, Inter), ha ricevuto quel che avrebbe meritato anche altrove soltanto dal Brescia che ancora oggi lo beatifica.
Bonucci ne ha avute ovviamente per Allegri, il quale sostiene di aver spiegato mesi prima - febbraio, marzo - al difensore che era giunto il momento di chiudere poiché un ciclo si stava esaurendo. La stessa cosa avrebbe (ha) fatto Cherubini e in seguito anche Calvo.
Non mi sono sciroppato tutti e trentatré i minuti della chiacchierata-sfogo, ma quel che ho ascoltato mi è bastato. E avanzato.
Da Torino avevo raccolto nel tempo altre verità, ognuno ha le proprie: la prima è che la società chiese a Leonardo se volesse salutare tifosi e compagni in occasione di Juve-Milan, l’ultima in casa, ma il giocatore si rifiutò di farlo, perché convinto di restare, immagino. Tra amore e ostinazione. La seconda, che Allegri gli permise di disputare la partita numero 500 e di venire convocato da Mancini dopo l’ultima della scorsa stagione, il 4 giugno: un membro dello staff dell’ex ct gli aveva infatti spiegato che se Leo non avesse giocato a Udine non sarebbe stato chiamato e il tecnico, proprio per consentirgli di non perdere l’azzurro, lo mandò in campo dal primo minuto.
Un’ultima annotazione. Molti tifosi rimproverano ancora a Bonucci il passaggio al Milan del 2017: mi risulta che non fu lui a chiedere di andar via, ma la società che aveva bisogno di fare plusvalenza. Inoltre Leo non risultava più in cima alle preferenze di Allegri. L’agente del giocatore, Lucci, creò perciò le condizioni per il passaggio in rossonero e infine convinse il suo assistito che fino al giorno prima aveva sognato la fascia di capitano di Buffon. Esattamente un anno dopo la Juve lo riportò a Torino.
Nel calcio, come nella vita, lasciarsi male è spesso l’unico modo.