Marco Ciriello per Quattrotretre.it
La Yamaha ha detto a Valentino Rossi che c’è un tempo per tutto, come già si evinceva da un mucchio di cose: dai filosofi greci alle canzoni di Battiato, dalle biografie degli altri sportivi a una battuta di Nora Ephron in “Harry ti presento Sally”: «Charlie Chaplin ha fatto figli fino a 73 anni!». «Ma non ce la faceva a tenerli in braccio!».
ValeRossi potrà correre anche per altri cinque o dieci anni, ma non sarà mai più lo stesso, anzi, potrà ritrovarsi molto probabilmente da fermo piuttosto che continuando ad inseguirsi.
La Yamaha l’ha pre-pensionato come accade a molti in altri ambiti lavorativi, forse senza classe – ma non sappiamo da quando sta provando a fargli capire che dovrebbe scendere dalla moto – e dimenticando le scommesse del pilota italiano negli anni, oltre le vittorie e il come e il quando, ma sappiamo che nello sport non esiste la riconoscenza, esistono solo i momenti di stupore, e ValeRossi è in vantaggio su tutti, ma se vuole conservare quel vantaggio non deve mostrarci la sua normalità.
Da Ulisse a James Hunt a George Best, i migliori sono quelli che rinunciano, o perdono anche, o tornano a casa, insomma, quelli che dopo aver vinto un Pallone d’oro lo festeggiano con Miss Mondo e non si mettono a inseguirne altri quattro o cinque o sei, con mammà in cucina che grida e twitta al complotto se il resto dei palloni d’oro non arrivano.
Nessuno vuole smettere, andarsene, cambiare vita, uscire dalla pista, dal campo o dalla vasca, lasciare il set, il teatro, i giornali, gli uffici; nessuno si ricorda più della grandezza di Ulisse, appunto, che dice no all’immortalità, cioè alla ripetizione seppure ben retribuita o con gloria; allo stesso tempo queste persone – atleti, registi, giornalisti etc – amano la serialità, il fatto che ci sia una nuova stagione come nelle serie che guardano, macerandosi nelle abitudini, e questi comportamenti portano alla costruzione di una società bambina fatta di vecchi, perché solo i bambini pensano che tutto abbia un seguito.
In questi giorni nelle sale italiane c’è un film bruttino, “Figli”, scritto da un bravissimo sceneggiatore, Mattia Torre, che a un certo punto urta contro questa voglia bambina dei nonni che non fanno più i nonni, impedendo ai figli di vivere un tempo degno da padri, invece di logorarsi alla ricerca di una perfezione che non hanno avuto e che cercano di dare finendo col contrarre un debito esistenzial-temporale.
La contrazione di questo debito porta alla costruzione di una società bambina per tutti, persino nelle regole adulte, lo spiega bene Bret Easton Ellis nel suo ultimo libro, “Bianco”, finendo per capovolgere le società, azzerando il tempo delle generazioni successive.
Lo sport è sempre avanguardia, e non a caso il problema è stato mostrato dagli sportivi, che prima concludevano il loro ciclo, e poi cercavano di passare quello che avevano imparato o di costruire altro, accettando il cambio di ruolo, non inseguendo una giovinezza che né la chirurgia plastica né la tecnologia filmica usata da Martin Scorsese per i suoi amici possono far tornare, anche perché tutto quello che torna è sempre posticcio, rimasticato, già vissuto. Come racconta, e bene, George Saunders.
Il tempo che veniva impiegato nella dialettica tra le generazioni: con gli abbandoni, i rimpiazzi e gli insegnamenti, ora è esercizio tirannico in nome del passato e della gloria, e questo “gioco” ha portato a una rottura, una separazione che nel caso di Rossi vediamo prendere forma negli assedi scorretti di Marc Marquez, che sono spinte della specie, spallate temporali date per cattivo carattere e bisogno di uccidere il padre, e, ovviamente, tutti a difendere ValeRossi, che, però, dovrebbe allenare Marquez e non stargli di fianco in curva, secondo il gioco del mondo; se, poi, vogliamo raccontarci l’eternità, e illuderci fino a consumarci, allora è una storia diversa.
uccio e valentino rossi valentino rossi francesca sofia novello valentino rossi valentino rossi valentino rossi uccio e valentino rossi valentino rossi