VE LO RICORDATE? LO CHIAMAVANO MARI…DONA – E’ STATO ALLENATO DA FRANCO SCOGLIO CHE LO CONSIDERAVA UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER COME FACEVA "LE DIAGONALI", E DA GIAMPY VENTURA. A VOLTE TIRAVA MEZZANOTTE: NON PER ANDARE IN DISCOTECA MA PERCHE’ FREQUENTAVA UNA SCUOLA DI MIMO. OGGI SCRIVE ROMANZI E PORTA IN SCENA I SUOI TESTI. DI CHI SI TRATTA?

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Marco Tarozzi per “Avvenire”

 

sergio mari 22 sergio mari 22

«Era il 1986, giocavo nella Centese, in Serie C1. Ero a pranzo con la squadra e chiesi a Paolo Specchia, il nostro allenatore, di dispensarmi dalla rituale cena tra scapoli del giorno successivo. Gli spiegai che a Ferrara proiettavano Rosa Luxembourg di Margarethe Von Trotta, con la regista presente per raccontare il proprio lavoro. Ricordo che i compagni mi guardarono come se avessero appena visto un alieno».

 

Era un calciatore diverso, Sergio Mari, anche se ancora non ne aveva piena consapevolezza. Salernitano, classe 1962, mediano di belle e concrete speranze, si era affacciato al calcio dei "grandi" nel 1979, svezzato alla Cavese da Corrado Viciani, l'inventore del gioco è bello quando è "corto" alla Ternana. Pilastro nella promozione in Serie B dell'anno successivo, avrebbe continuato per quindici stagioni il suo percorso da professionista: nell'Akragas del "Professore" Franco Scoglio, ancora a Cava dei Tirreni, a Cento guidato da Specchia e l'ex ct azzurro Giampiero Ventura, e poi a Nola, a Fasano, a L'Aquila e nella Juvestabia. Scoglio, in mezzo al campo, urlava alla truppa «fate le diagonali come Mari»; i tifosi della Centese lo ribattezzarono subito "Maridona".

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Al secondo anno in Emilia, ventiquattrenne, si fratturò il perone proprio quando Bologna e Vicenza si stavano interessando a lui, e quella fu la condanna per una carriera da lì in poi confinata ai campi di C1, con più di un rimpianto. Solo che Mari era anche altro. Per dire, era sì uno di quelli che a volte tiravano mezzanotte, ma non per andare in cerca di avventura: una volta a settimana, lui correva al teatro Antoniano di Bologna, per frequentare una scuola di mimo. E solo per questo rincasava tardi.

 

«Io però non avevo consapevolezza di quello che sarei diventato. Forse lo capivano di più i compagni: anche oggi, quando li rivedo, non mostrano stupore per la mia vita da attore, regista, scrittore. Dicono che loro se lo immaginavano». Ecco, il Sergio Mari di oggi fa quel mestiere lì: recita, pensa e produce i suoi spettacoli, scrive romanzi. Il primo l'ha intitolato Quando la palla usciva fuori, ed è quello che lo ha riaccostato a quel mondo che era stato suo negli anni più giovani. «Avevo chiuso in modo traumatico, non riuscivo più a comprendere certe logiche del mondo del tifo, né le dinamiche che ormai regolavano quel mondo.

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Appassionato di arte contemporanea, per dodici anni ho fatto il gallerista a Salerno. Ma un giorno sono salito su un palcoscenico, quasi per caso. Mi è piaciuto, sono piaciuto. Allora mi sono messo a studiare, ho visto tanti lavori teatrali, ho letto voracemente. Ho cercato di recuperare il tempo perduto. Con gli anni mi sono reso conto che l'armadio dei ricordi era ancora lì, in un angolo del mio cervello.

 

Riaprendolo ci ho trovato le cose migliori, le persone belle che avevo conosciuto: non è stato un gesto nostalgico, semmai un recupero oggettivo, un riconoscimento a quel mondo che mi aveva permesso di crescere, anche con tutte le sue contraddizioni». In bacheca, invece dei trofei pallonari, Sergio ha stipato diverse performances teatrali vissute da protagonista e spesso anche da regista e soggettista, come l'idea originale di far raccontare il grande allenatore ebreo (del Bologna e del-l'Inter) morto ad Auschwitz Arpad Weisz a uno dei suoi giocatori più brillanti, l'ex rossoblù Francisco Fedullo «perché avevo scoperto le origini salernitane di quel grande giocatore del Bologna, e che suo padre aveva vissuto a due passi da casa mia.

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Ho portato questo lavoro nei teatri, nelle scuole, è stato visto da migliaia di studenti. In tempi di lockdown, ne ho ricavato anche un monologo di mezz' ora, interamente girato in casa mia, dove interpreto entrambi i personaggi. Il calcio è un veicolo perfetto su cui far viaggiare messaggi importanti, e farli arrivare alle nuove generazioni».

 

E poi altre due fatiche letterarie, Sei l'odore del borotalco e il più recente Racconti. «Scrivere è fatica vera, quando lo faccio mi libero da ogni altro pensiero e dopo due ore al pc sono stanchissimo, spesso rendendomi conto che quello che ho buttato giù non è nemmeno passabile. È costruire e smontare, per trovare una chiave interiore. Lo capii, forse, durante l'inattività per l'infortunio. Un pomeriggio, a Bologna, restai due ore su una panchina di via Indipendenza, immerso nella lettura di un libro appena acquistato alla Feltrinelli. Fu un giorno pieno di tristezza, per i problemi fisici che mi affliggevano, ma allo stesso tempo di assoluta libertà». Il giorno che ci ha consegnato il nuovo Sergio Mari, uno che ha rivoluzionato la sua vita da mediano. Salendo su un palco.

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