Maurizio Crosetti per repubblica.it - Estratti
Cosa saremmo disposti a sacrificare di noi stessi, del nostro corpo, non concetti astratti come anima, coraggio o amore ma proprio sangue, tessuti, ossa e pelle, pur di ottenere ciò che più desideriamo al mondo? Un dito? Un occhio? Un rene? A volte la fantasiosa vita prende le forme di un racconto di Stephen King (è sempre la vita a imitare l’arte, non il contrario), ed è questa l’incredibile storia di Matthew Dawson, campione australiano di hockey su prato, capitano della sua Nazionale in partenza per Parigi.
Qualche giorno fa, Matt si è fratturato l’anulare della mano destra: diagnosi, prognosi, gesso e addio Olimpiadi. A meno che... “I medici sono stati molto chiari con me: mi hanno detto che l’unico modo per risolvere la cosa era amputare la parte superiore della falange. Questo mi avrebbe permesso un recupero immediato. Ne ho parlato con mia moglie, e alla fine ho preso la decisione più giusta, non solo per i Giochi ma per il mio futuro”.
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Nulla vale quanto l’interezza interiore, deve aver pensato Matt, che di azzardo se ne intende. Nel 2018, in allenamento, venne colpito da una mazza che gli fratturò l’orbita oculare, mettendo a serio rischio la sua partecipazione ai Giochi del Commonwealth. Quella volta non c’erano fibre o falangi da barattare, solo un coraggio ai limiti della follia: e Matt, naturalmente, si distinse. Gli ingegneri biomedici gli fabbricarono una maschera speciale (i supereroi non sono, del resto, quasi sempre mascherati?), e Matt così bardato andò a prendersi la medaglia d’oro, segnando pure un gol in finale.
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