Francesco Bonazzi per il “Fatto Quotidiano”
Il figlio del formaggiaio partito dalla Sicilia, il penalista con la passione per il body-building e il falco degli hedge fund. Joey Saputo, Joe Tacopina e James Pallotta, le tre "J" del calcio italiano finito in mani americane, potrebbero tranquillamente interpretare un reality dal titolo "Daydreamers", i sognatori.
Roma, Bologna e Venezia nell' empireo del calcio, tra stadi nuovi di zecca, soldi da sponsor internazionali e città da "vendere" come souvenir scintillanti. Personaggi nuovi per dare linfa nuova a un mondo variopinto che già ci regala i Tavecchio, i Ferrero, i Galliani, i Preziosi, gli Zamparini. Carne da imitazioni.
"Il nuovo stadio dovrà essere pronto per gli europei del 2016 e puntiamo a vincere lo scudetto entro cinque anni", scolpì serissimo il bostoniano James Pallotta in un' intervista al Sole 24 Ore del 9 ottobre 2012.
L' estate precedente, nel 2011, aveva rilevato dalla famiglia Sensi la maggioranza dell' As Roma per 89 milioni, mentre nel 2014 ha poi comprato per 33 milioni anche il restante 31% del club che era rimasto in mano a Unicredit, storico creditore dei Sensi. Le cose, com' è noto, non sono andate esattamente come sperava il finanziere cinquantaseienne, anche se ovviamente non è tutta colpa sua.
La Roma in campo ha ampiamente deluso: colpa della Juventus, delle incertezze nella guida tecnica e di un gap con gli squadroni di Champions che è rimasto intatto.
Ma il fiore all' occhiello della gestione a stelle e strisce doveva essere il nuovo stadio, per il quale c' era già un accordo con l' allora sindaco Gianni Alemanno e che la giunta Marino non ha certo osteggiato, anzi. Il progetto nell' area di Tor di Valle, periferia Sud Ovest della capitale, è già stato approvato e la variante al piano regolatore è stata varata.
Adesso la palla è in mano alla Regione, guidata da Nicola Zingaretti, e sul progetto è calata una certa nebbia.
C' è chi dice che il problema siano i Parnasi, gli immobiliaristi proprietari dell' area scelta da Pallotta per il suo impianto da 52 mila posti, con tanto di aree commerciali e zone per uffici.
L' operazione sta molto a cuore alla solita Unicredit, grande creditrice del gruppo Parnasi, ma Zingaretti, da presidente della Provincia, fu già coperto di critiche per aver comprato a caro prezzo (260 milioni di euro) la nuova sede dell' ente all' Eur proprio dai Parnasi, storicamente vicini al Pci e poi al Pd. Ora dovrà di nuovo trattare con gli amici costruttori e i poteri forti della città, a cominciare da Francesco Gaetano Caltagirone, editore del "Messaggero", lo aspettano al varco. Ci saranno sconti sulle opere di urbanizzazione?
Per Pallotta, e per i bilanci del club giallorosso, quella dell' impianto di proprietà è una strada obbligata. Il modello vincente, in Italia, sono la Juventus e l' Udinese. Ma non è solo un discorso di solidità finanziaria. Pallotta ha ingaggiato l' architetto statunitense Dan Meis (tra le sue opere il Los Angeles Nfl Stadium) perché vuole un nuovo Colosseo in acciaio e vetro e sogna di sfruttare anche la vicinanza con il Tevere per portare tifosi e turisti allo stadio via fiume. Quella del Colosseo, per il finanziere di origini italiane, è una piccola fissazione. Scherzando, dice sempre che ci vorrebbe veder giocare Totti e compagni, "ma purtroppo è già occupato".
Di sicuro, però, c' è che Pallotta con la Roma vuole anche farci i soldi. Ed è del tutto legittimo per un signore che ha scoperto la filantropia solo dopo aver maneggiato milioni di dollari, prima ai vertici di Tudor Investments e poi dirigendo il suo "Raptor Fund", che ha smantellato pian piano negli ultimi anni con la crisi di Wall Street. Pallotta resta uno dei bostoniani più ricchi, ha un patrimonio immobiliare che vale svariate decine di milioni ed è tra gli azionisti dei Boston Celtics, la squadra di basket della quale è sempre stato gran tifoso.
Perché è proprio il basket, va detto, lo sport preferito dal presidente della Roma.
Se Pallotta in Italia si vede con il contagocce, lo stesso non si può dire per Joe Tacopina, volto da rotocalco che prima si è presentato al calcio italiano tra i compratori della Roma e del Bologna e ora si è spostato sul Venezia con progetti faraonici. Newyorchese di Brooklyn, classe 1966, figlio di romani di Monte Mario, Tacopina aveva cercato di rilevare la squadra della capitale già nel 2007, provando ad attirare nell' affare nientemeno che George Soros.
Attirò soltanto i riflettori. Poi tornò alla ribalta sul Tevere quattro anni dopo, con la cordata Pallotta-Di Benedetto, ed entrò anche nel cda della "Magica". Ma voleva una squadra tutta per sé, o quasi, e nel 2014 ha rilevato il Bologna, riportandolo subito in serie "A". Il tempo di fare le solite grandi promesse e Tacopina, lo scorso settembre, ha di nuovo cambiato società.
Ha litigato furiosamente con l' altro socio italo-americano Joey Saputo è con la liquidazione (tre milioni) si è comprato il Venezia, che milita in serie "D".
joe tacopina foot mezzelani gmt
In laguna Tacopina ha subito fatto le cose in grande. Ha allestito una squadra competitiva, che oggi guida il campionato e punta alla promozione in Lega Pro, e naturalmente ha annunciato alla città non solo il ritorno a tappe forzate nel "calcio che conta", ma anche la costruzione di uno stadio nuovo di zecca al posto del vecchio e glorioso "Penzo". Di sicuro, con lui c' è sempre da divertirsi.
Chi lo conosce racconta che è un guascone nato, grande amante delle palestre e delle occasioni mondane. Negli Stati Uniti, come penalista, adorava stare in tv a discettare delle varie storiacce di cronaca. In Italia, non deve che aspettare la serie "A" e il suo circo che non chiude mai.
tacopina festeggia il bologna in serie a
Tutto un altro carattere Saputo junior, 51 anni, nato a Montreal, figlio del siciliano Lino, uno dei più grandi commercianti di latticini del Nord America. Joey parla poco e ha fatto una lunga gavetta nelle società di famiglia, che comprendono anche un' azienda di logistica (il gruppo è valutato in 5 miliardi di dollari).
Da qualche anno si occupa della parte "leisure", come la proprietà di un' altra squadra di calcio, l' Impact di Montreal. Nel Bologna è entrato nel' estate di due anni fa e per il club rossoblù, ovviamente, anche lui ha progetti da "zio d' America".
Nella sua ultima visita a Casteldebole, dove si allena la squadra di Donadoni, Joey Saputo ha tenuto a dire che lui non è di quei presidenti che vuole mettere becco nella formazione (alla Berlusconi, per dire) perché poi "ci si riduce a discutere di perché ha giocato quello o quell' altro".
Ma giustamente si occupa di ben altro. Vuole riportare i rossoblù in Europa e ha già detto chiaro e tondo all' amministrazione locale che intende ristrutturare lo stadio Dall' Ara per farne un impianto "all' avanguardia". Sì, è una fissa. E vien quasi da pensare che la legge sugli stadi del 2014 l' abbiano fatta per gli americani.