Francesco Bonami per “Vanity Fair”
Nel luglio del 2013 il vice presidente del Senato Roberto Calderoli, parlando dell’allora ministra per l’integrazione Cécile Kyenge, pronunciò testuali parole: «Amo gli animali, orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango».
Per questa frase è stato condannato in primo grado a 18 mesi, pena poi sospesa. Se si potesse, Calderoli dovrebbe essere condannato a guardare a vita la commovente opera dell’artista inglese Steve McQueen Sunshine State (Pirelli Hangar Bicocca, Milano, fino al 31/7). Il lavoro, composto da quattro proiezioni, parla dell’ammasso di sciocchezze dette e scritte intorno all’essere nero. Due proiezioni riguardano il sole incandescente e piacerebbero tanto a Greta Thunberg.
L’artista infatti parte dall’idea che il sole sia fonte di vita e il buio residenza del male. La tragedia del clima insegna proprio l’opposto: il sole che ci abbronza sulle spiagge è fonte di distruzione. Il titolo dell’opera è il nome che viene dato alla Florida, lo Stato della luce del sole, dove suo padre arrivò dai Caraibi per lavorare alla raccolta delle arance negli anni ’50, incontrando il razzismo più bieco.
Con la sua arte McQueen ci racconta in modo struggente il suo rapporto con il padre e la dolcezza di questi nel volerlo proteggere dalle violenze che lui aveva subito, e anche come l’essere nero sia ancora bersaglio di stereotipi e stupidità. A conferma di ciò basta il fatto che Roberto Calderoli è ancora vice presidente del Senato, mentre Kyenge non è più ministro. Forse l’obbligo di vedere Sunshine State, come lezione di civiltà, andrebbe esteso a tutti gli italiani. Politici e no.
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