Davide Maniaci per https://milano.corriere.it
Le teorie sulla vera identità della misteriosa Gioconda di Leonardo sono numerosissime: va avanti da secoli il dibattito su chi fosse la donna più famosa del mondo dell’arte e su quale sia il luogo dove il genio da Vinci decise di ritrarla.
Secondo Carla Glori - ricercatrice indipendente in arte e critica letteraria - il ponte che si vede a sinistra della spalla della Gioconda è il «ponte Gobbo» di Bobbio, il simbolo della cittadina nell’entroterra piacentino. E la donna è Bianca Giovanna Sforza, figlia illegittima e poi legittimata di Ludovico il Moro, promessa in sposa ancora bambina a Galeazzo Sanseverino e morta in giovanissima età (1482-1496) solo sei mesi dopo la celebrazione del matrimonio. Il quadro doveva essere il suo ritratto nuziale.
Il numero 72
Carla Glori ha dedicato allo studio dell’opera pittorica di Leonardo gran parte della sua vita. Autrice di libri e articoli, ha divulgato anche online molti suoi scritti, consultabili su piattaforme di ricerca. «La notizia dell’esistenza del numero “72” sotto il ponte della Gioconda (scoperto da Silvano Vinceti nel 2010), venne allora da me rilanciata associandola al ponte Gobbo, che avevo identificato come quello del ritratto. La cosa incontrò all’epoca contestazioni.
Il fatto che il numero esista o meno non è indispensabile all’identificazione del ponte di Bobbio da me fatta, che si basa su elementi storici e architettonici e su disegni tecnici per il suo allungamento. Allora aveva cinque archi irregolari e caratteristiche strutturali del tutto simili al ponte dipinto da Leonardo».
La prova della riflettografia
«All’epoca - continua Glori - avevo osservato che sussisteva per il ponte Gobbo una connessione storica documentata con il numero “72”: infatti il ponte era stato travolto da una piena del Trebbia giusto nel 1472 e l’arco grande – corrispondente a quello sotto cui vedevo il numero nel dipinto – nella realtà presentava un ammasso di rocce proprio in quel punto: non fu riparato fino al 1509.
Ne avevo concluso che si trattasse di una data posta dal pittore in memoria di quell’esondazione, o magari per far sì che qualcuno identificasse quel ponte così famoso. Mi ha convinto il fatto che quel numero si vede anche in riflettografia, ma non saprei ancora oggi dire in tutta certezza se esista o meno, perché potrebbe essere un tiro mancino del destino, imputabile alle “craquelures” di cui quel quadro abbonda».
Il disegno dell’arco «nascosto»
La prova che invece l’esperta definisce «inattaccabile» riguardo al ponte consiste nel disegno di un arco, visibile solo in riflettografia, in quanto è stato coperto da Leonardo con uno strato di colore. «Si tratta di una scoperta comunicata al Louvre nel 2012.
L’arco è tracciato nel punto esatto in cui si vede il ponte Gobbo dalla finestra del castello, individuata dalla ricerca come “il punto di vista sul paesaggio” della Gioconda. Leonardo ha poi raffigurato il ponte un po’ più avanti e lo ha “raddrizzato” per dipingerlo al meglio e per intero, poiché (come si può constatare in loco) gli appariva in obliquo e troppo angolato.
È comprensibile che l’identificazione del ponte Gobbo all’epoca sollevasse contestazioni e scetticismo, perché nessuno prima di allora aveva collegato Leonardo alla Val Trebbia, un territorio strategico, a ben vedere niente affatto marginale per la storia degli Sforza e per le connessioni che via via sono emerse con Leonardo nel suo primo soggiorno milanese. Va sottolineato che al ponte Gobbo si aggiungono altri tredici punti di riferimento paesaggistici rispettivamente coincidenti nello sfondo dipinto e nel panorama reale inquadrato dal “punto di vista” fissato presso la finestra del castello».
La scoperta dei paleontologi
Quest’anno inoltre un team internazionale di paleontologi ha scoperto sul territorio bobbiese gli icnofossili che compaiono nel codice Leicester: una ulteriore conferma della tesi sulla localizzazione del paesaggio, in quanto viene comprovata la presenza di Leonardo in loco.
Bianca, la figlia del Moro, e la sua morte misteriosa
«Sia sulla localizzazione bobbiese del paesaggio che sulla ricostruzione storica, che riconduce alla faida sforzesca con la famiglia di Pietro Dal Verme (il signore di Bobbio avvelenato per ordine del Moro nel 1485, ndr), ho in previsione la pubblicazione di un libro con molte novità entro quest’anno.
Quel luogo, fino ad allora posto in margine alla storia sforzesca, si lega alla biografia di Bianca, la primogenita del Moro, e a quella di suo marito Galeazzo Sanseverino, che fu mecenate di Leonardo durante il primo soggiorno milanese.
Entrambi ebbero in dote i possedimenti espropriati dal Moro ai Dal Verme e la giovane morì di morte misteriosa sei mesi dopo le nozze, forse per l’oscuro intrigo cortigiano a cui accenna il Muratori nelle Antichità Estensi, chiamando in causa Francesca Dal Verme (figlia del conte Pietro). Le carte d’archivio disponibili non hanno dato finora risposte su questo intricato “giallo sforzesco”, e probabilmente non si riuscirà mai a venirne a capo».
L’«invecchiamento» della Gioconda
E sarebbe proprio Bianca la donna del quadro. Lo scienziato Pascal Cotte nel 2014 aveva annunciato la scoperta del ritratto di una donna più giovane sotto la Gioconda, una scoperta che attende conferma ufficiale dal Louvre: in tal caso verrebbe convalidata l’ipotesi del 2010 di Carla Glori circa l’«invecchiamento» e la trasformazione operata da Leonardo sulla modella, la non ancora quindicenne Bianca Giovanna Sforza.
Dopo la sua fuga da Milano, Leonardo doveva infatti nasconderne l’identità, in quanto figlia del Moro, ormai sconfitto e messo al bando.
Le origini milanesi
Una Gioconda milanese, dunque, secondo Carla Glori. «Va premesso – prosegue – che il ritratto di “una certa signura di Lombardia” (con correzione in rosso “milanese”) viene documentata da Antonio de Beatis durante la sua visita nel castello di Blois, il giorno dopo l’incontro con Leonardo in Amboise nel 1517.
Ho ipotizzato al proposito che potrebbe trattarsi del ritratto detto la Gioconda. A partire dalla localizzazione del paesaggio in Bobbio, ho identificato la giovane Bianca signora di Voghera in base a fatti storici documentati, dato che lei e Galeazzo Sanseverino furono investiti delle terre vermesche della Val Trebbia dopo gli sponsali del 1489».
I ricami sulla scollatura
Leonardo conosceva la figlia del Moro fin da bambina e sono documentati i rapporti di amicizia che legavano il Pittore a Galeazzo, suo mecenate. «Una evidenza sforzesca sono i ricami sulla scollatura dell’abito della Gioconda, in quanto riconducono alla moda lanciata a corte da Beatrice d’Este nei primi anni del 1490 e le minute spirali del ricamo sono identiche a quelle dell’abito della Dama con l’ermellino (1490 circa).
Sono le stesse spirali che si ritrovano nei nodi vinciani del 1497 circa, dai quali sono state tratte incisioni. Un esperimento grafico ha permesso di provare che il ricamo della scollatura “assembla” tre motivi dell’incisione del nodo Academia Vinci 9596 della biblioteca Ambrosiana, ma l’esperimento è ripetibile sulle altre incisioni con analoghi nodi vinciani».
La lavorazione sul bordo del parapetto
«Inoltre - spiega Glori - la lavorazione sul bordo del parapetto della Gioconda, eseguito anteriormente al ritratto, è del tutto simile a quella del parapetto della Belle Ferronnière, la milanese Lucrezia Crivelli, l’ultima amante del Moro ritratta nel 1497, un dipinto il cui sfumato presenta significative analogie con quello della Gioconda. La similitudine dei parapetti rimanda a un contesto culturale-architettonico omogeneo».
«Molti elementi – prosegue la ricercatrice – dimostrano che il ritratto del Louvre, anziché al 1503 in Firenze o ancor più improbabilmente nel periodo romano 1513-1516, può datarsi nel triennio 1496-99 (tra le nozze di Bianca e la sua morte, prima della fuga di Leonardo da Milano per la caduta dello Sforza)».
Il ritratto nuziale mai consegnato
La Gioconda, secondo Glori, doveva essere il ritratto nuziale della primogenita del Moro, non consegnato a causa della sua morte al padre-committente, e poi «trasfigurato» nel tempo.
«In questi ultimi anni si è diffusa l’idea di una esecuzione tarda di quel quadro, tra il 1513 e il 1516 circa. Ma, a parte le similitudini sopra evidenziate, è noto che Leonardo nel 1517 subiva gli effetti di una paralisi, per cui Antonio de Beatis scrisse che “per essergli venuta certa paralisi su la destra non ci si può più aspettare cosa buona”, aggiungendo che poteva solo “fare disegni ed insegnare ad altri”. È vero che cita la mano destra, ma il giudizio è quello di una sua invalidità diffusa per cui doveva ricorrere ai suoi allievi, rendendo inverosimile l’esecuzione del capolavoro negli ultimi anni».
Il mito di massa
Nessuna conclusione certa, ovviamente, ma Carla Glori lo chiarisce: «I risultati finora mi confermano l’identità di Bianca Giovanna Sforza ritratta sullo sfondo di Bobbio».
Quel quadro del resto ha attraversato epoche e ciascuna epoca lo ha reinterpretato e anche travisato. La trasformazione dell’opera nel «mito di massa» avvenne con il furto di Vincenzo Peruggia nel 1911, che la proiettò sulle prime pagine di tutti i giornali.
«In ultima analisi, è nella società dell’immagine e dello spettacolo che quell’opera si è trasformata in un feticcio: una parola che comprende sia l’idea di “oggetto magico” e di idolo, capace di attrarre con una forza invisibile, sia quella di “brand simbolico universale” assimilato alla merce. La nascita della rete e del digitale hanno amplificato a livello planetario, nel bene e nel male, la trasformazione della musa di Leonardo in un oggetto di culto massmediatico».
È difficile prevedere se la Gioconda riuscirà infine a sottrarsi al destino della “dissoluzione dell’aura” teorizzato da Benjamin, ma, per le sue peculiarità, Carla Glori crede che sia destinata più di ogni altra opera d’arte a sottrarsi a quello della riproducibilità tecnica. Nessuna macchina potrà mai approssimarsi all’originale.
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