Rachele Ferrario* per Dagospia
*Storico e critico d’arte insegna Fenomenologia delle arti contemporanee e catalogazione e gestione degli archivi all’Accademia di belle arti di Brera, Milano.
Valentine de Saint Point e il suo Manifesto della Lussuria
Non esiste l’arte dei maschi e delle femmine. Esistono le opere con cui si fa l’arte. L’arte che da sempre intercetta i cambi d’epoca in anticipo e che ha tratto forza persino dalla privazione del contatto fisico. Il ricordo della sofferenza – non solo quella della pandemia, ma della guerra e delle lotte che i più deboli da sempre combattono sulle primazie - aleggia tra i Giardini ma non prevale sul desiderio di una ripartenza.
I corpi e i volti scolpiti o dipinti nei molti ritratti esposti alla Biennale sono lì a raccontarcelo, hanno la voce di donne che rivendicano attraverso l’identità sessuale – non di genere - il dolore che ha attraversato e attraversa la storia delle donne.
MAX ERNST E LEONORA CARRINGTON
Cecilia Alemani parte dalle avanguardie storiche - le prime che hanno lasciato spazio alle femmine – per leggere il presente in un progetto nato nella crisi del Covid e che ora s’inaugura nel mezzo di un’altra crisi, la guerra. Già questo rende la Biennale diversa da ogni altra: è una mostra privata in origine della propria essenza, della frequentazione e del confronto tra gli artisti e la curatrice.
Nei secoli la donna è stata strega, diavolo tentatore, femme fatale o femme enfant e quasi sempre guardata da occhi maschili. A pittrici, poetesse, danzatrici e intellettuali è andata meglio perché hanno potuto esprimere la loro creatività senza rischiare il manicomio (non tutte ma sempre troppe: persino la Carrington, che con la sua espressione “il latte dei sogni” dà il titolo alla mostra, ci finì mandata dai suoi stessi genitori, e neppure l’amore di Marx Ernst poté salvarla).
Anche “le artiste” sono state spesso costrette nel cono d’ombra (i maschi direbbero di luce) dei loro compagni. Poche, come Carol Rama, ebbero la fortuna d’esser capite e stimate da Man Ray o Andy Warhol; o come Remedios Varo, riconosciuta dai circoli surrealisti; o le futuriste, che, a dispetto dei loro compagni - i più maschilisti della storia -, sono state spesso portatrici di un modo nuovo di concepire il proprio corpo e la sessualità, come dimostra Valentine de Saint Point e il suo Manifesto della Lussuria.
A distanza di un secolo le capsule storiche (le piccole mostre che si trovano lungo il percorso ai Giardini e alle Corderie) ci fanno vedere che le donne hanno vinto quantomeno la scommessa dell’arte come territorio franco della libertà di espressione, dove esiste solo il lavoro: siamo oltre il genere, oltre il femminile.
La proposta di opere del passato e meno conosciute al grande pubblico, alternata alle ricerche del presente, non è una novità. È mutata, però, la narrazione, che pone interrogativi più che dare risposte. Le donne sono sempre più consapevoli della propria identità sociale, sessuale e di individuo grazie all’emancipazione che si afferma anche con il corpo:
quello contemporaneo assemblato di Andra Ursuta ai Giardini ci ricorda gli horror fantascientifici e le fiabe, sono parti del corpo della stessa Ursuta, mostri opalescenti dalla bellezza straniante, indicano un futuro biomorfo, antropomorfo, fluido;
o quelli nelle straordinarie tele di Paula Rego, che dipinge il dolore dell’anima e del corpo in altre fiabe terribili di seduzione, di stupri e infanticidi ponendoci di fronte alla durezza che da sempre e ancora colpisce le donne nei rapporti di forza.
Per una volta i maschi sono quasi del tutto assenti, ma hanno molto da imparare. Qualcuno obietta. Definisce la mostra ideologica, di restaurazione, improntata al politically correct e ai dibattiti etici e sociali di matrice americana: da Black Lives Matter alla Cancel Culture, dall’inflazione dell’uso della parola vagina nelle serie tv agli studi sul linguaggio, perché le parole danno forma a ciò che vogliamo essere.
Ma tutta la laguna è al femminile: la straordinaria mostra sulle surrealiste alla Guggenheim riscopre – finalmente - Leonor Fini (presente anche ai Giardini) e la stessa Carrington con la sua scultura con gli occhi di gatto (un leit-motiv in molte opere alle Corderie). Anche se tra le poche a restituire l’idea della sessualità femminile come piacere e dolore – Eros e Thanatos – è ancora Carol Rama.
L’unico fallo è dipinto da una donna, la pittrice Marlene Dumas a Palazzo Grassi. “Quanta mona che ghe zè a la Bienal” cantavano i Pitura Freska: finalmente, ci siamo. Perché la vagina è protagonista assoluta.
Il Latte dei sogni s’inaugura mentre un’altra crisi drammatica e violenta pone al centro la questione del potere. Una guerra in cui le donne continuano a essere vittime, violate nel corpo e nell’anima. Eppure non c’è traccia apparente delle enormi difficoltà in cui curatori e artisti sono stati obbligati a lavorare.
Il padiglione dell’Ucraina è simbolo di resistenza e unione. Ma il dolore collettivo per Simone Leigh è nell’enorme busto di ragazza senza occhi e con le trecce, che apre la mostra alle Corderie, nuova immagine iconica: è una rivendicazione senza risentimento, anzi a favore della bellezza e del mix culturale di cui è figlia;
e nel padiglione Americano – intitolato Sovereignty, Leone d’Oro per la migliore partecipazione – Simone Leigh ha ricostruito una capanna con il tetto di paglia e rievocato il cammino dei neri nel riconquistare coscienza di sé.
La Biennale di Cecilia Alemani è coraggiosa: ha guardato con il cannocchiale della storia e ha messo a fuoco qualcosa di latente; l’antropocentrismo è finito. Con buona pace delle differenze tra uomini e donne, delle tendenze sessuali, politiche o religiose.
Per una volta un’italiana ha tratto il meglio dal confronto tra cultura europea e americana di cui è figlia e attivato un dialogo trasversale e libero. Anche questa edizione non sarà uscita del tutto dai canoni del mainstream, ma ha rilanciato senz’altro una riflessione importante a partire dall’arte e dalle opere. Perché la cultura arriva sempre prima.
Leonora Carrington e Max Ernst remedios varo simpatia la rabia del gato 1955 andra ursuta 03 andra ursuta predators us 2020 courtesy the artist david zwirner ramiken new york Simone Leigh - Biennale 2022 Paula Rego Marlene Dumas paula rego sleeper Andra Ursuta paula rego marlene dumas justice Valentine de Saint Point andra ursuta 02 Simone Leigh - U.S.-Pavilion-Venice-Art-Biennale-2022 leonor fini VALENTINE DE SAINT POINT simone leigh biennale di venezia simone leigh biennale di venezia simone leigh 01 giardini america 04 paula rego b simone leigh 01 giardini america 09 Leonora Carrington e Max Ernst andra ursuta 01