Simone Mosca per “il Venerdì di Repubblica”
Chissà se ormai ricorda che più e più volte fu chiamato a fotografare Gianni Agnelli, con cui al di là degli impegni di lavoro condivise pure qualche serata dall'altra parte dell'Atlantico, sodale di feste ammesso nella cerchia di conoscenti di fiducia da Mister Fiat che certo non si consegnava al primo "paparazzo" di passaggio.
E se ricorda che una sera dell''83 - sempre a New York ma al Giants Stadium, dove era andato ad applaudire il Cosmos in cui incassavano il loro tramonto dorato nel soccer a stelle strisce, tra gli altri, Beckenbauer, Chinaglia e Pelé - sedendosi e notandolo l'Avvocato lo salutò: «Ciao Pino» urlò facendo ciao con la mano e regalandogli l'ammirazione di mezza tribuna.
mariangela melato a new york ph giuseppe pino
«Le mie azioni salirono discretamente» scriveva appena qualche anno fa a proposito dell'episodio. Uno dei milioni che probabilmente Giuseppe Pino, obiettivo milanese classe '41 che dai Sessanta e fino a poco oltre gli anni Dieci del 2000 ha immortalato buona parte del Pantheon del Novecento e un filo oltre per copertine, reportage, libri e pubblicità, avrà purtroppo scordato.
Ennesima diapositiva di un'esistenza inghiottita dal buco nero dall'Alzheimer. È dal 2019 che, quello che a lungo è stato tra i più prolifici e pubblicati fotografi italiani, bell'uomo (netta la somiglianza con Angelo Infanti, l'indimenticabile seduttore di Magda in Bianco, Rosso e Verdone), fiero viveur che dava del tu a Stan Getz e Aretha Franklin e che per manifesta e consapevole bravura ostentava l'aria del burbero underdog irriducibile a un genere o a una testata, è ricoverato in clinica.
gianni agnelli ph giuseppe pino
Prima al Redaelli di Milano, poi in un istituto di Bellagio sul Lago di Como. Con dolce vista sull'acqua cheta, forse, ma senza parenti o amici, affidato all'autorità di un giudice tutelare dopo essere stato trovato in stato confusionale poco lontano da casa da una ragazza di passaggio. O dopo aver gettato dal balcone delle pallottole di carta fatte con lo scotch. Come biglietti d'aiuto senza alcuna sintassi. Niente più memoria, né privata né pubblica.
L'ASSISTENTE E IL MAESTRO
«Qui parliamo di un archivio che, restando al jazz, conta 70 mila scatti e che, a spanne, nel complesso, arriva almeno a 300 mila».
La memoria dei fotografi, volendo, resta. Max Villani, artista, nato anche lui a Milano cinquant' anni fa, per quasi venti, tra i 90 e fino a oltre il 2010, di Pino era assistente. Avevano litigato («per un'inezia sul set di un film di Ezio Greggio con Mel Brooks») e Max se ne era andato per la sua strada, anche lui a New York come il "maestro".
silvio berlusconi nel 1978 ph giuseppe pino
Quando ormai forse era semplicemente troppo cresciuto per rimanere a bottega. Un giorno di tre anni fa, dopo aver inviato mail che mai avevano ricevuto risposta, tornando in città si presentò in via Santa Sofia, pregiata circonvallazione a ridosso del centro, a citofonare per fare pace con Pino. Così lo chiamavano tutti, non solo l'Avvocato. «E scopro tutto. E mi faccio dare il numero del tutore, lo incontro, gli spiego chi sono, gli dico anzitutto che voglio andare a Bellagio».
Nel pieno dell'emergenza Covid, Max riesce, coi vaccini Usa mezzo buoni e mezzo no in Italia, ad essere ammesso nella clinica sul Lario. Si porta dietro però una paura più grande di Pfizer e compagnia. Verrà riconosciuto dal vecchio amico? «Ciao Max, quanto tempo, ma non eri a New York?». Piansero in due, poi Pino iniziò a parlare un po' in francese e un po' in inglese. Max promise di portarlo via e di proteggere la sua memoria ancora archiviata a Milano.
marion williams ph giuseppe pino
Giuseppe Pino purtroppo è ancora a Bellagio, Max Villani per fortuna è ancora a Milano, all'opera in via Santa Sofia su incarico ufficiale del giudice che gli ha affidato il compito di ordinare provini, immagini, scatti ma anche libri, dvd, altre collezioni. Un lavoro che dura da mesi e ne durerà altri probabilmente.
«Io di Giuseppe Pino nasco ammiratore» ricorda Villani di quando aveva appena dieci anni e in via Santa Maria Fulcorina, dove abitava con la madre, non aveva occhi che per un vicino soltanto: «Per quel fotografo che tornava a casa sempre con una modella diversa».
AUTODIDATTA GENIALE
Giuseppe Pino, anche quando ricordava tutto, non ha mai amato parlare della vita precedente la professione. Figlio di un siciliano e di una svizzera, le cronache ufficiali sulla sua vita risalgono al 1966-1967, quando da "autodidatta" fu preso nella squadra di Panorama.
Per sincero amore musicale, si fece strada anzitutto infilandosi per vent' anni in camerini leggendari e di solito inaccessibili (fare amicizia, sedurre, era la dote che precedeva il gusto per l'inquadratura di Pino) collezionando da Miles Davis a Duke Ellington un campionario di mostri sacri. E nel frattempo, iniziando ad amare le Saab (e solo quelle, non avrebbe più guidato altro), allargò i propri orizzonti iniziando a immortalare il mondo ben oltre i concerti. Come, da memorie raccolte nel libro monografico Giuseppe Pino. The Way They Were (Damiani), nel 2014 uno degli ultimi lavori di Pino e Villani in coppia, Vladimir Nabokov sbucato dall'ascensore di un albergo svizzero coi guanti da pugile per ravvivare l'atmosfera.
thelonious monk ph giuseppe pino
O Jacques Tati atterrato a Milano l'anno dopo per presentare Trafic, suo ultimo film. «L'unica volta che rinunciai a curare la regia delle foto di fronte a un genio». O come Silvio Berlusconi nel '77, in posa col pollice alzato e con, alle spalle, dei libri finti. Pino gli chiese se provava a lungo le espressioni di fronte allo specchio. «Lei allora se ne intende» rispose l'allora costruttore di Milano 2 e 3. «Ma perché mi ha scelto come fotografo?» chiese Pino. «Perché lei è il fotografo di Agnelli» rispose il soggetto. La fattura inviata ad Edilnord non fu mai saldata.
E ancora: Mariangela Melato che galleggia nel 1982 sull'Hudson come fosse una spensierata esordiente, Alberto Moravia nel 1985 a Roma, come da ritratto, cupo anche perché l'assistente di Pino stava per scassare un Guttuso mentre lo spostava da dietro la scrivania dello scrittore. «È per la luce, maestro». O Andrea Pazienza, 1986, che gli lasciava una caricatura con numero di telefono e indirizzo: «Vienimi a trovare presto in Toscana». Non ce ne fu il tempo.
FIDEL CON AUREOLA
Giorgio Armani e Marcello Mastroianni, Gianni Versace e Luca Ronconi, Pier Paolo Pasolini e Hugo Pratt, Bob Wilson ed Eduardo De Filippo, Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari, Pedro Almodóvar e François Truffaut, Jane Birkin e Akira Kurosawa. Frank Zappa in Brera, Bettino Craxi in studio in una posa che (si dice) sarebbe servita per il Craxi a disegni spogliato da Forattini. A partire dalla seconda metà degli anni 90, Pino si concesse sempre più spesso a pubblicità e servizi commerciali per mettere soldi da parte.
mariangela melato a new york nel 1982 ph giuseppe pino
La pensione non è stata quella che probabilmente desiderava. Cosa ne sarà della memoria che rimane? «Vorrei fondare un'associazione che si occupi della conservazione e della valorizzazione dell'archivio». Il pericolo è che una scelta avventata porti alla vendita dei materiali che potrebbero venire ceduti ad agenzie e banche di immagini. Si rischierebbe di perdere due volte la memoria di Pino, che sta a Bellagio ma che nel 1970, circondato da 400 mila cubani, colse in un comizio notturno Fidel Castro circondato come da un'aureola. A Pino chiesero in che studio avesse scattato la foto. Se se ne ricordasse, risponderebbe che il trucco non c'è, era tutto vero.
giuseppe pino malcolm forbes ph giuseppe pino alberto moravia ph giuseppe pino andrea pazienza nel 1986 ph giuseppe pino jacques tati nel 1974 ph giuseppe pino michael caine nel 1974 ph giuseppe pino eduardo de filippo nel 1974 ph giuseppe pino son house ph giuseppe pino