Pierluigi Panza per corriere.it
Una delle molte copie della Monna Lisa di Leonardo da Vinci, conservata dal 1927 alla Camera dei Deputati in deposito dalle Gallerie nazionali di arte antica, è al centro di un dibattito attributivo. Si tratta della cosiddetta Gioconda Torlonia, una copia non si sa quando esattamente realizzata (probabilmente nel XVI secolo), trasportata da tavola su tela nel Settecento e un tempo custodita in Francia come probabile parte della collezione del cardinale Fesch, lo zio di Napoleone.
La troviamo inventariata dal 1814 nella collezione Torlonia di Roma e arriva alla Galleria nazionale d’arte antica nel 1892. Da qui, nel 1927, viene data in custodia a Montecitorio, dove non è certo l’unica copia di celeberrimi dipinti antichi. È alta 70 centimetri per 50 (dimensioni ridotte rispetto alla Gioconda del Louvre) e, un tempo, fu come al solito, attribuita al pittore leonardesco Bernardino Luini.
Se ne stava tranquilla nella stanza del questore di Montecitorio finché il questore Francesco D’Uva (M5S), che invita a sostenerne l’autenticità leonardesca, l’ha prima prestata e poi spostata in sala Aldo Moro per renderla più visibile. «Si tratta di una copia realizzata nella bottega di Leonardo, forse addirittura con la sua diretta collaborazione», va spiegando il questore.
La sua considerazione nasce, probabilmente, dalla riflessione di Antonio e Maria Forcellino che, nel catalogo della mostra romana del 2019 su Leonardo a Roma, influenza ed eredità, hanno speso nove pagine a raccontare la qualità della Gioconda Torlonia. Ma, al solito, non ci sono assolutamente documenti a ricostruirne le origini del dipinto (Leonardo muore nel 1519 ad Amboise, in Francia, portando la vera Gioconda) e i pareri di molti esperti sono assai scettici.
«È un modesto dipinto di arredamento» afferma, senza appello, il critico d’arte Vittorio Sgarbi. «Non l’ombra, ma l’incubo di Leonardo», scrive il deputato in una nota. «Tutto quello che meritava di essere restituito ai musei — spiega — lo è stato nei decenni scorsi attraverso una commissione che io ho guidato». Anche Rossella Vodret, ex soprintendente di Roma, schedando il dipinto nel 2005, l’aveva definito «di qualità non molto alta». E Alessandro Cosma, nella scheda apparsa nello stesso catalogo del 2019 con il testo entusiasta dei due Forcellino, scrive che la copia, una delle molte esistenti, «riprende in maniera precisa molti dettagli» dell’originale.
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Più possibilista Claudio Strinati, che definisce «plausibile» che possa essere un’opera della bottega. Ma «a parer mio — chiosa — è un dipinto di media qualità che non sembra denotare l’impronta di una mano eccelsa di Leonardo».
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