peggy guggenheim collection venezia
Antonio Riello per Dagospia
Uno delle tante ragioni per cui ogni anno si fiondano a Venezia circa 23 milioni di turisti è anche la Collezione Peggy Guggenheim, che si trova all'interno dell'incompiuto - e quindi ancora più fascinoso - Palazzo Ca Venier dei Leoni. Vi sono racchiuse le scelte della collezionista d'Arte per eccellenza del XX Secolo: Ms Marguerite Guggenheim (1898-1979).
La storia dell'eccentrica mecenate americana è cosa ben nota, così come lo è la parentela con Solomom R. Guggenheim il fondatore del Guggenheim Museum di New York (era suo zio). Con i decenni che passano comunque la sua leggenda si è irrobustita. Una parte del fascino di questo magnifico luogo veneziano sta proprio nell'aura che aleggia sull'avventura umana della illustre proprietaria.
Gli aneddoti del suo carattere, caparbio e a volte perfino capriccioso, si sprecano. Le sue relazioni con gli artisti annoverano due matrimoni (prima con Laurence Vail e poi con Max Ernst) e svariate (e talvolta colorite) storie d'amore. Materiale mitopoietico - praticamente inesauribile - per le fantasie di artisti/e e collezionisti/e di tutto il Mondo.
Oltre alla collezione permanente i locali del palazzo ospitano ai nostri giorni spesso delle esposizioni temporanee. Dal 14 Ottobre è la volta di: "MARCEL DUCHAMP e la seduzione della copia". Il curatore è Paul B. Franklin (che è anche l'autore del bel catalogo) e le opere radunate sono una sessantina. Parliamo di una mostra dove il livello storico-intellettuale è altissimo ma, per capirci, non c'è moltissimo spazio per il piacere visivo che magari qualcuno si potrebbe aspettare.
In altre parole non siamo alla solita elegante (e più o meno ruffiana) celebrazione del "bello". E' piuttosto un brillante riesame delle logiche dell'Arte Contemporanea (o almeno di come le conosciamo fino ad ora). Gli occhi, da soli, con Duchamp non bastano...
Marcel Duchamp (1887-1968) fu un eclettico intellettuale che con il suo modo di concepire (e di fare) l'Arte ne rivoluzionò definitivamente la natura. Viene spesso definito - in maniera forse un po' sbrigativa - come il "Padre dell'Arte Concettuale". E' stato piuttosto uno che, per dirla breve, ha sperimentato tutto molto prima degli altri.
L'artista francese fu anche un fedele amico e consigliere di Peggy Guggenheim fin dal 1937. Nel dopoguerra Duchamp passerà, come ospite, anche un breve periodo a Venezia. Proprio questa città nel 1993 gli ha dedicato a Palazzo Grassi una grande ed esaustiva mostra curata da Pontus Hulten. A Cà Venier dei Leoni invece, adesso, ci si occupa di uno specifico tratto del suo lavoro: la riflessione sulla serialità e sul concetto di copia (non intesa certo come contraffazione ma piuttosto come multiplo evoluto).
Sotto questo aspetto Duchamp ha una posizione coerente con il suo battersi, in prima linea, per un processo generalizzato di "de-sacralizzazione" della produzione artistica. I bagliori scaturiti da questa sua potente visione illuminano ancora, dopo tanti anni, la scena.
Il centro nevralgico dell'esposizione è l'opera "Scatola in una Valigia" (nel 1941 Peggy aveva acquistato da lui il primo esemplare, edizione deluxe). L'idea, come racconta lo stesso artista in un film-intervista che è possibile/consigliabile vedere all'ingresso dell'esposizione, è piuttosto semplice: raggruppare in un'unica scatola una serie di riproduzioni in miniatura di opere già esistenti.
In pratica una summa quasi-tascabile della sua produzione artistica. Compresi anche il "Grande Vetro" (1915-1923) e il "Nudo che scende le scale n. 2" (1912). Di queste scatole-museo ne esistono in realtà diverse edizioni, anche Arturo Schwarz ne aveva successivamente curato una. Il punto è che, in realtà, a Duchamp non interessava granchè del destino finale delle sue opere. Quello che importava era l'idea-chiave che impregnava ogni suo lavoro.
man ray marcel duchamp come rrose selavy 1921 1
L'esistenza fisica dell'opera stessa era un fattore quasi banale. All'occorrenza, poteva tranquillamente essere replicata. La riproduzione (anche meccanica) delle sue opere era semplicemente un possibile esito della sua ricerca. Niente di drammatico. Niente di sbagliato. Anzi qualcosa di voluto e cercato: l'Arte è una cosa troppo importante per lasciarla solamente nelle mani di artisti, curatori, collezionisti, musei.
Una delle sue attività preferite era giocare a scacchi, cosa che prendeva molto a cuore e alla quale dedicava il massimo dell'attenzione, quasi con fanatismo. In mostra una curiosa opera-scacchiera del dedicata a Caissa, la Dea indiana degli scacchi. Duchamp è nell'intimo un formidabile giocatore anche quando si occupa di Arte. Il gioco in sè, alla fine, per lui sembra essere l'unica cosa meritevole di serietà. Lo fa con gli oggetti, con le parole, con i significati, con il sistema finanziario, con il mercato e la Storia dell'Arte ("L.H.O.O.Q." la sua famosissima Gioconda con i baffi è del 1919) e perfino con l'identità sessuale.
man ray ritratto di marcel duchamp come rrose se??lavy 1921
Infatti ad un certo punto si traveste e diventa una sofisticata signora, Madame Rrose Sélavy. Questo suo geniale alter ego al femminile testimonia quanto Duchamp precorresse - con molto anticipo - l'attuale interesse per la cosiddetta "identità fluida".
Come Grayson Perry, ma cinquant'anni in anticipo! Non c'è niente da fare: è sempre arrivato/a prima di tutti gli altri/e. Una delle opere alla Guggenheim, "Coppia di grembiuli da lavandaia" (1959), ne dà, se ce n'era bisogno, un'ulteriore conferma.
Per approfondire, oltre al catalogo in vendita al bookshop, potrebbe essere interessante consultare le canoniche "Conversazioni con Marcel Duchamp" di Pierre Cabanne. E soprattutto leggere due libri: "La scienza dell'Arte" di Marco Senaldi pubblicato da Meltemi e "Duchamp from A to Z" di Thomas Girst (Thames & Hudson).
MARCEL DUCHAMP e la seduzione della copia
Peggy Guggenheim Collection
Ca Venier dei Leoni, Dorsoduro 701-704, Venezia
fino al 18 Marzo 2024
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