“Al momento la mia arte
è situata tra
la tendenza pornografica
a rivelare ogni cosa
e l’inclinazione erotica
a nascondere di quel che si tratta”
(Marlene Dumas, Tendenza pornografica, 1986)
Rachele Ferrario per Dagospia
“Le mie opere migliori sono scene erotiche di confusione mentale (con l’intrusione d’informazioni irrilevanti)”. Così scrive Marlene Dumas a proposito di “Magnetic fields”, il dipinto per cui ha tratto ispirazione da un nudo di Margaux Hemingway su Playboy. Il pube non depilato della nipote del grande scrittore è diventato sulla tela un paesaggio magnetico. D’altra parte, per la Dumas anche le poesie sono frasi che “si sono tolte i vestiti”.
marlene dumas “Magnetic fields”,
Pure lei si spogliò della sua lingua e della sua cultura, quando nel 1976 - l’anno della repressione della rivolta di Soweto - fuggì dal Sudafrica per andare ad Amsterdam, e liberarsi dell’immaginario infantile popolato da disegni kitsch di Cristo in croce, dai segni della supremazia dei bianchi sui neri e dalle distese di paesaggi infiniti senza una sola casa: “L’Europa mi dava più sicurezza - ha detto Marlene -. Ho scelto l’Olanda per via della lingua simile; ma quando sono arrivata mi sentivo persa anche al supermercato”.
Amsterdam, però, all’epoca è un centro creativo effervescente. Gilbert&George si dipingono d’oro e mettono in scena la loro Singing Sculpture, la perfomance in cui cantano e suonano; Marina Abramovic e Ulay, agli inizi del loro sodalizio, nudi sfidano la resistenza fisica in un corpo a corpo, uno contro l’altro; Sol LeWitt ritaglia un triangolo da una carta geografica della città e ne fa un’opera.
Marlene Dumas è arrivata con il bagaglio d’esperienze legate alle sue origini - “potrei dire che il Sudafrica è il miocontenuto e l’Olanda la mia forma,ma le immagini che tratto sonofamiliari per chiunque, in ogni luogo” scriverà poi –; ma prima di partire grazie a un professore che ha notato la sua curiosità la Dumas ha studiato Diane Harbus, e le sue fotografie di personaggi eccentrici, ritratti senza pregiudizio.
Marlene ad Amsterdam con la stessa libertà a 23 anni legge tutti i libri proibiti in Sudafrica e ogni tipo di rivista comprese quelle pornografiche, al cinema vede “Gola profonda” e più tardi avrebbe visto “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini: “in Italiano, non capivo nulla ma guardavo le figure”. Con la stessa voracità con cui colleziona immagini la Dumas comincia a scattare polaroid agli amici.
Nel 1982 è già a Documenta a Kassel: inizia così la sua carriera con storie di erotismo ma non di sesso. Nudi e volti di donna diventano un racconto del nostro tempo, che ci parlano delle nostre stesse vite e della nostra mortalità. I soggetti vengono dai rotocalchi, da fotogrammi cinematografici ma non sono che il punto di partenza.
Non importa che i personaggi siano famosi o persone comuni: “All’inizio non so cosa ne verrà fuori”, il risultato finale è qualcosa che ha a che fare con l’ispirazione. Per esempio, “Lips”: labbra anonime estrapolate dalla pubblicità di un rossetto diventa una bocca umida e invitante.
“Teeth”, denti, viene invece da una fotografia in bianco e nero di Maria Callas, rimasta a lungo in un cassetto fino a quando Marlene Dumas l’ha guardata di nuovo ed era proprio ciò che cercava: i denti e le labbra della cantante creavano la forma perfetta per esprimere passione e rabbia e un erotismo contrapposto alle altre labbra fin troppo sensuali.
E chissà se la Dumas non ha pensato (come poi De André) all’Amor Sacro e all’Amor Profano di Tiziano, e ai cambi d’umore da un broncio seducente come in Lips al grugno imprecante di Teeth.
“Tratto immagini di seconda mano edesperienze di primordine” dice ancora Marlene: “Awkward” - che significa imbarazzante - viene però dalla fotografia di un vaso antico: i due corpi rievocano il momento dell’innamoramento, quando tutto deve ancora accadere: c’è l’attesa della prima volta (come in “Kiss”, storia del primo bacio), la delusione e l’imbarazzo.
Ogni opera per lei sembra essere l’inizio di qualcosa, non a caso il titolo della colossale mostra a Palazzo Grassi (le opere sono davvero tante, forse troppe persino per restituire la sovrabbondanza della nostra epoca), è Open-End: aperto e chiuso, l’inizio e la fine; ma è anche il modo di indicare una coesistenza, qualcosa che è in transito, che muta.
Suo marito ha raccontato di non averla notata fino a quando non l’ha invitata ad uscire a cena e lei – di solito in abiti comodi per dipingere – s’è trasformata, accesa d’una bellezza inaspettata che le fluiva intorno.
Inaspettata. Come lo sono i suoi soggetti: Longing, il volto orizzontale, è colto nell’attimo della bramosia e dell’attesa del piacere ma anche della creazione artistica. La Dumas pone al centro il problema dell’identità. S’interroga sull’intenzione dello sguardo. “Turkish Girl” (ispirata alla pornografia) non vuole esser guardata, ti guarda mentre la osservi e sembra dire: il piacere esiste come tale, anche il piacere della pittura.
“The Visitors” azzarda, mette in discussione un secolo di “sguardo maschile” dall’Olympia di Manet del 1863 e a Les Demoiselles d’Avignon, con cui Picasso nel 1907 ha cambiato la storia dell’arte. Davanti alle schiene e alle natiche delle donne della Dumas lo spettatore attende ed è a sua volta parte dell’opera.
Tra la galleria di ritratti di intellettuali, poeti, scrittori a lei cari uno in particolare, Charles Baudelaire, ricorda che l’artista è tale solo a condizione d’esser se stesso e contemporaneamente l’altro. Al pari della sovrabbondanza – quella sì pornografica - di figure di ogni genere, l’identità è il tema urgente oggi.
“White disease” è il volto di un uomo divorato dalla malattia; incarna la crudeltà di tutte le discriminazioni, di tutte le violenze e la stessa idea del male del Novecento. È un dipinto etico, politico perché ci riguarda: il razzismo per la Dumas è malattia dello spirito, “una colpa collettiva”.
Il volto emaciato dell’uomo infermo così come le lingue, le bocche, i capezzoli, ci ricordano che la pittura “è la traccia del tocco umano, è la pelle di una superficie”. E che pittrici e pittori – ogni artista - sono tanto più ricchi quante più sono le immagini da cui traggono ispirazione per raccontarci una storia.
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