Fiorella Minervino per "La Stampa"
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Marilyn si offre all’osservatore in tutto lo splendore, l’ingenuità, la seduzione che possedeva nel 1952, a 26 anni. Ora appare provocante con una generosa scollatura e avvolta in un abito rosso, ora è spontanea, maliziosa, una ragazza di campagna con blusa e un cesto di mele. Eccola poco più in là drammatica, sensuale, adescante in vestito di pizzo nero con «mantilla» spagnola, il dito indice puntato fra i seni.
È poi un vero splendore in costume da bagno, testa rovesciata all’indietro, bocca vermiglia, gambe ripiegate, sandali con tacchi d’una ventina di centimetri, una pin up in poltrona. Così la ritraeva Nickolas Muray, (1892-1964) il famoso fotografo che per 40 anni immortalò per celebri riviste di moda come Harper Bazaar, Vanity Fair, Vogue e per magazine come Time, le dive hollywoodiane: Greta Garbo, Marlene Dietrich, Gloria Swanson, Joan Crawford, una Elizabeth Taylor giovanissima, oltre a ballerine superbe come Martha Graham, dai corpi che sembrano architetture in bianco e nero.
Ma non mancano tra i suoi soggetti politici come il Presidente Calvin Coolidge e l’allora ministro del Commercio Herbert Hoover (sarebbe divenuto presidente negli Anni della Grande Depressione), attori come Charlie Chaplin, scrittori come Jean Cocteau, George Bernard Show, H.G.Wells, John Galworthy.
Li ritraeva con effetti flou e pose significative ed evocative: accumulò un archivio di oltre 10 mila immagini in un solo decennio. Inoltre fissò le prime efficaci icone per la campagne pubblicitarie a colori, dai piselli ai crackers, dalle sigarette ai cornflakes che volano per aria.?
Sono 200 le immagini che lo raccontano nella vasta e articolata mostra a Palazzo Ducale di Genova curata da Salomon Grimberg: il giovane ungherese infuocato, sbarcato ventunenne a Ellis Island con solo 25 dollari e il vocabolario d’inglese, incerto sul futuro ma sicuro di dover fare cose memorabili, presto diventa il fotografo noto per i ritratti del bel mondo americano («mai artificiosi’» scriveva Cecil Beaton). ?
Si chiamava in realtà Miklos Murai, divenuto americano semplificò nome e cognome, e spiegava: «Per me la fotografia non è soltanto una professione, ma anche un contatto tra le persone - uno strumento per capire la natura umana e fissare, se possibile, il meglio di ciascun individuo».
Seducente, bell’uomo, spesso amava le sue modelle. Con Marilyn Monroe non si sa quando esattamente cominciò la storia, doveva ritrarla per la 20Century Fox, poi per il film Niagara (1953), la immortalò a più riprese, infine, alla morte di lui, la moglie Peggy trovò una foto di lei nuda, sopra un velluto rosso (una copia di quella famosa di Tom Haley nel 1949), con dedica: «A Nick, è stato un vero piacere con te. Spero di rifarlo presto. Marilyn».
Ma non amò solo la Monroe. Si era già infiammato d’una passione sfrenata lunga 10 anni per Frida Kahlo, conosciuta in Messico nel ’31. Lei era quasi alle prime armi, lui si illuse di sposarla, ma restarono legati d’amicizia fino alla scomparsa dell’artista messicana nel 1954. Muray rese Frida Khalo un’icona popolare: eccola infatti nel suo ambiente, circondata da cimeli, statuette messicane, ibiscus e foglie in testa, capelli raccolti alla nuca con la grossa treccia, morbidi scialli neri o rossi, le mani giunte.
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Ora ha la sigaretta in bocca, ora è accanto alla sua aquila, camicia in pizzo bianco, grossi pendenti alle orecchie, anelli alle mani, mille ricami d’oro tanto da sembrare una divinità Azteca. In altri scatti compare col volto pensoso e sofferente fra i cactus. Ma nel ’46 è a New York in immagini che la ritraggono carica di ciondoli e nastri con i grattacieli di Manhattan sullo sfondo. Non manca Diego Rivera, in bianco e nero con i murales o mentre bacia la moglie o la stringe in allegria. ?
C’è anche un magico momento a due tra l’artista e il fotografo: vediamo una Frida dagli occhi tristi, e lui, mesto, con sguardo perduto in lontananza. Siamo alla fine della loro storia infuocata, in cui arrivò a scrivere: «Nick, ti amo come amerei un angelo, sei tutta la mia vita, sei un fiore nella mia valle». Muray in 30 anni le dedicò un’infinità di immagini. ??
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Muray non era solo abile nei rapporti con i suoi soggetti, si occupava anche di tecnica fotografica: per ottenere colori così accesi Muray aveva sviluppato la tecnica del «carbro» con pigmenti di colore al carbone, appresa a Berlino negli anni di studio sulla fotoincisione, la perfezionò stampando ottime fotografie, che lo resero un maestro conosciuto.
Quali le immagini più intense fra le molte in mostra? Forse le numerose dedicate nel 1926 al vecchio, recalcitrante Monet, di 86 anni a Giverny, seduto fra le sue «impressioni» del giardino, gli alberi ad arco, il pergolato di rose, le ninfee, insomma, un brano di poesia (catalogo Skira). La sua foto ha saputo ispirare maestri del ritratto come Irving Penn, Diane Arbus, Annie Leibovitz.