"HO FATTO DIALOGARE GLI ARTISTI CONTEMPORANEI CON I GRANDI DEL PASSATO" - ANNA COLIVA, DIRETTRICE DELLA GALLERIA BORGHESE, SI APPRESTA A LASCIARE L’INCARICO DOPO 27 ANNI: LE MOSTRE PIU’ SIGNIFICATIVE, LA SCULTURA DI CANOVA DI PAOLINA BORGHESE BONAPARTE CHE “E’ LA GIOCONDA DELLA GALLERIA”, IL PROGETTO CON HIRST – E ORA? "VORREI MOSTRARE CHE L'ESTETICA È ANCHE ECONOMIA. LA CULTURA HA BISOGNO DI…"

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Alain Elkann per “Specchio - la Stampa”

 

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Anna Coliva è da 27 anni direttrice della Galleria Borghese di Roma. Sta per lasciare il suo incarico, ma continuerà a organizzare mostre e a tenere corsi di perfezionamento in storia dell'arte nelle università italiane.

 

Come si sente a lasciare la Galleria Borghese, che da tanti anni è la sua passione e la sua vita?

«È un compito molto impegnativo gestire un posto del genere, soprattutto con personale e fondi limitati. Ma mi sono davvero divertita. Per praticare la storia dell'arte in un museo, devi inventare attività specifiche per quel luogo. Ho deciso di rendere visibile in qualche modo tutta l'amministrazione generale, come la catalogazione, la ricerca, il restauro, gli studi, l'archiviazione, le pubblicazioni.

 

anna coliva anna coliva

L'ho fatto con una serie di mostre che, a poco a poco, si sono concentrate su uno dei problemi che avevo riscontrato nel museo. Perché se hai degli sponsor, le mostre ti danno l'opportunità di fare ricerca. Questo è qualcosa che prima non si faceva nei musei italiani. Spero che sia fatto più regolarmente oggi».

 

Quante mostre ha fatto negli anni e quali sono state le più significative?

COLIVA FRANCESCHINI COLIVA FRANCESCHINI

«Sono circa ventiquattro. La prima è stata la più completa mostra su Raffaello mai fatta in Italia. Era enorme e abbiamo scoperto cose nuove sulla sua opera, cosa che non potevamo assolutamente immaginare perché era un territorio ben coperto. Per fare una mostra del genere sono necessari due o tre anni di ricerca. Abbiamo scoperto documenti inediti e, cosa più importante, processi completamente nuovi. Stesso discorso per Bernini, Correggio e Canova.

Anna Coliva Anna Coliva

 

La mostra che è stata per me la più grande soddisfazione l'abbiamo fatta in collaborazione con il Louvre. L'obiettivo era quello di riportare alla Galleria Borghese alcuni dei circa 500 pezzi della collezione che Camillo Borghese, marito di Paolina Bonaparte, vendette a Napoleone all'inizio dell'Ottocento. Ne abbiamo riportato 85 e li abbiamo messi dove erano originariamente collocati».

 

La collezione Borghese è stata creata dal cardinale Scipione Borghese nel XVII secolo. È corretto affermare che Villa Borghese non sia mai stata una casa in cui ha vissuto con i suoi tesori?

galleria borghese galleria borghese

«La sua idea era quella di avere un luogo dove riunire tutti i suoi tesori. È stata concepita come una vetrina, quindi non ci sono spazi abitativi. É nata per essere un museo».

 

Nel 1806 Napoleone acquistò la collezione. In questo caso non l'ha rubata È un punto storico importante?

«Assolutamente. Camillo Borghese era infatuato di Napoleone. Lui era la rivoluzione. La leggenda narra che Marcantonio, il grande principe romano, morì di crepacuore perché suo figlio Camillo bruciò lo stemma di famiglia nella piazza come gesto rivoluzionario».

 

Un visitatore è colpito dall'edificio in sé, o dall'intera collezione, o da certi capolavori come nei grandi musei?

anna coliva anna coliva

«Villa Borghese è un luogo di assoluta meraviglia per come è stata concepita, con le caratteristiche e i materiali più sofisticati. Dal pavimento al soffitto, non c'è un centimetro che non sia decorato. La collezione non è grande ed è stata scelta pezzo per pezzo. È qui che entra in gioco il senso del gusto come nuovo elemento nella storia dell'arte. Non è arbitrario. È un elemento critico, fondamentale».

 

La scultura di Canova di Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice è la Gioconda della galleria?

«Esattamente. Fu l'ultimo capolavoro ad entrare, nel 1808, ma per la sua travolgente forza figurativa è diventata un simbolo».

 

Sta tenendo una mostra con l'artista inglese Damien Hirst a cura di Mario Codognato. Gli artisti contemporanei dovrebbero essere inclusi negli spazi caratterizzati dall'arte classica o antica?

Damien Hirst Galleria Borghese Damien Hirst Galleria Borghese

«Questo è un punto cruciale che ho cercato di affrontare in tanti modi. Ho sentito parlare di questo meraviglioso progetto a cui Hirst sta lavorando segretamente da dieci anni. Tutte le opere sono realizzate a mano con materiali tradizionali. Niente stampa 3D, niente tecnologie, niente realtà virtuale, solo metodi di lavorazione manuale del marmo e della pietra, materiali che si trovano nella Galleria Borghese».

 

Recentemente Giuseppe Penone è stato agli Uffizi, ed Edmund de Waal alla Frick Collection di New York. È ormai diventata una consuetudine esporre opere contemporanee in gallerie e musei tradizionali?

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«Nel 2009 in un museo italiano avevo organizzato una mostra Caravaggio-Bacon. Sono stata accusata di aver aperto la strada a questa tendenza, che funziona solo se non si guarda al museo come a una "location". L'artista contemporaneo non deve esserci per fare paragoni con l'arte antica, il che non ha senso. Dobbiamo avere bisogno dell'artista contemporaneo e non viceversa».

 

Villa Borghese ha una sala con capolavori di Caravaggio. Esiste in altri musei?

«Siamo l'unico museo ad avere sei dipinti di Caravaggio. Furono tutti commissionati all'artista».

Qual è lo scopo dell'Istituto di Ricerca Caravaggio che ha creato insieme con Fendi? «L'idea è quella di creare il più grande e completo archivio digitale di Caravaggio, con il supporto teorico e tecnologico dal Getty, che è il più grande centro di ricerca per le digital humanities».

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È contenta di tornare a insegnare?

«Vorrei concentrarmi su ciò che ho predicato, per mostrare che l'estetica è anche economia. La cultura ha bisogno di ricerca applicata in grandi istituti che attraggono esperti e studenti internazionali. Abbiamo bisogno di persone che vogliano non solo visitare l'Italia, ma anche viverla veramente, accoglierla e persino lavorare qui».

 

Riparte con ottimismo e speranza?

«Non sono ottimista per natura, ma sento che sta avvenendo un cambiamento importante. Abbiamo vissuto una cosa orribile, ma tutte le generazioni colpite ne sono state in qualche modo arricchite. Non voglio essere fraintesa, ma è un'opportunità». 

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