TATE BRITAIN
Millbank, Pimlico, Londra SW1P 4RG
Cornelia Parker e Hew Locke
fino al 16 Ottobre 2022
Antonio Riello per Dagospia
Cornelia Parker (1956) è una presenza molto significativa (anche se a modo suo discreta) del panorama artistico Britannico. Una a cui da sempre piace giocare con le cose e le loro storie. Con una attitudine quasi da medico forense indaga la vita (e soprattutto la morte) degli oggetti. Sì, qualche volta fa venire in mente proprio lui, Sherlock Holmes....ma in questo caso si tratta di un investigatore animato da un forte impegno politico, sempre sulle barricate della estrema sinistra.
A differenza dell'artista Tony Cragg che con frammenti di oggetti di solito costruisce anabolicamente forme e sagome, la Parker con sapiente ed artistico sadismo si occupa della loro nemesi, come fosse un astrale destino. Una raffinata catabolica violenza permea la sua ricerca.
Si è servita, negli anni, di ogni genere di collaboratori: The Royal Army School of Ammunition (gli esperti di esplosivi dell'Esercito Britannico), ingegneri e tecnici della Polizia Britannica, l'Agenzia delle Dogane Britannica, scienziati, archeologi, storici e perfino il filosofo americano Noam Chomsky.
La sua celebre opera "THIRTHY PIECES OF SILVER" (1988/89) apre la mostra (curata da Andrea Schlieker con l'aiuto di Nathan Ladd). Sono centinaia di oggetti in argento e/o silver plated che sono stati schiacciati da un rullo compressore e poi appesi con dei fili al soffitto per formare appunto trenta gruppi.
La loro origine è varia, si va da regali personali ad acquisti fatti al mercatino di Portobello, ad oggetti rubati o preduti. Ognuno, se potesse, avrebbe la sua speciale avventura da raccontare. Di certo il senso della violenza avvenuta è palpabile. L'argento è inoltre visto dall'artista come il materiale esemplare dello sfruttamento coloniale del Sud America e quindi diventa il naturale recipiente di colpe storiche secolari.
"COLD DARK MATTER: AN EXPLODED VIEW" (1991) mostra invece una impressionante caterva di oggetti appesi che ben rappresentano il caos causato da una potente esplosione. Un comune capanno degli attrezzi di un ridente guardino inglese è stato fatto saltare per aria con dell'esplosivo al plastico e quello che vediamo sono proprio i suoi resti. Il titolo gioca, tra l'altro, con la terminologia degli astronomi rispetto al cosiddetto "Big Bang". Una illuminazione particolare crea un effetto di ombre sulle pareti che, se possibile, accresce ancora di più la sensazione di incombente minaccia.
"PERPETUAL CANON" (2004) è una notevole ed elegantissima installazione fatta di strumenti musicali (ottoni) schiacciati e assemblati in una sorta di orchestra circolare. Anche qui le luci suggeriscono paurosamente potenziali e misteriosi pericoli. Verrebbe quasi da dire che manca solo una bella musica da film di Hitchcock come sottofondo.
Procedendo ci si imbatte in una serie di opere di dimensioni minori, ma non per questo meno "cattive".
Ci sono resti di armi confiscate dalla polizia e fatte a pezzi, altre dissolte con l'acido e trasformate in mucchietti di polvere, disegni su carta fatti con un inchiostro avvelenato e contemporaneamente con un secondo inchiostro che incorpora l'antidoto del primo. Eleganti e sobrie composizioni su carta realizzate con pigmenti prodotti grazie alla distruzione di cassette pornografiche sequestrate dalla polizia, "PORNOGRAPHIC DRAWINGS" (2005).
Opere su carta velina, molto interessanti, che si rifanno alla Sacra Sindone (Cornelia Parker è stata allevata nella tradizione Cattolica, che nel contesto Britannico/Anglicano suona sempre, in una certa misura, strano, conflittuale ed esotico....).
Foto realizzate con una macchina fotografica posseduta da uno dei comandanti di Auschwitz: orrori e crudeltà sublimati attraverso la virtuosa alchimia dell'Arte Contemporanea. I piccoli oggetti del "male" si trasmutano in pallidi e dolorosi fantasmi. In questi casi, a volte, l'operazione artistica risulta davvero molto, molto, concettuale e senza le complesse spiegazioni che accompagnano le opere il risultato visivo può essere un po' deludente. E' come se qui la Parker divenisse (artisticamente) un po' troppo "asciutta" (o almeno ipercontrollata) e non concedesse granchè ai sensi dello spettatore.
Una altra imponente installazione collettiva fatta a ricamo coinvolge la Magna Charta, il prodromo di tutte le libertà presenti sul suolo Britannico. Parecchi politici Britannici sono stati coinvolti per la sua realizzazione. Altri lavori su delle lavagne di scuola rimandano, forse un po' troppo, all'opera di Joseph Beuys.
E' il momento dei film. Molto belli ed impegnati. "MADE IN BETHLEHEM" (2012) è sui conflitto Israelo-Palestinese (un pochino scontato). FLAG invece (2022) è un curioso e imprevedibile video realizzato in una fabbrica di bandiere.
"WAR MACHINE" (2015) mostra la banalità irriverente della produzione industriale dei cosiddetti poppies, i papaveri che si portano sul bavero della giacca in Gran Bretagna come simbolo dei caduti della Prima Guerra Mondiale (va notato con attenzione come le memorie della Grande Guerra sappiano in questo paese ancora ispirare vivacemente gli artisti contemporanei, caso forse unico al mondo).
Proprio con i resti della produzione industriale dei poppies (enormi fogli di carta rossa dove si vedono con regolarità, in negativo, le sagome dei papaveri) è stata costruita una specie di cappella votiva "WAR ROOM" (2015). Qualcosa che sta tra una piccola cattedrale e una tenda militare. La quantificazione, quasi contabile, di una tragedia e la sua silenziosa e drammatica celebrazione. Forse il miglior lavoro della mostra, forte, imponente ed austero.
L'ultimo sala ospita "ISLAND" (2022) una installazione che è sostanzialmente una serra. Le pareti in vetro della serra sono ricoperte di segni fatti con il gesso bianco delle scogliere di Dover (luogo assolutamente emblematico dell'identità Britannica). Il pavimento è fatto con le mattonelle che provengono da varie demolizioni fatte presso la House of Parliament di Londra (Westminster). Una luce pulsante illumina sinistramente il tutto. E' la lettura super pessimistica della Parker del destino del Regno Unito, tra Brexit e crisi identitarie di varia natura. Certamente un esempio di grande rigore (anche se speriamo che l'artista non abbia ragione...).
Alla Tate, per arrivare alla mostra di Cornelia Parker bisogna per forza attraversare le enormi sale della Duveen Galleries e ci si imbatte in una spettacolare installazione: "THE PROCESSION" (2022). Il progetto è stato curato da Elena Crippa. L'artista, Hew Locke, nato a Edinburgo, è di origini Giamaicane. La sua magnifica e colorata sfilata comprende circa 150 soggetti che non potrebbero essere più vari di così.
Ci sono naturalmente sostanziose tracce del Carnevale Caraibico di Notting Hill (che si tiene a Londra in Agosto). Ma le influenze sono veramente innumerevoli: il Carnevale di Venezia, le più svalvolate sfilate di moda, i pellegrinaggi religiosi, le parate militari, i profughi in fuga, le marce di protesta, i raduni musicali.
Una gioia per gli occhi. Ma pure un ironico sberleffo inflitto dalla Tate a sè stessa (con intelligenza e molto fairplay): Henry Tate, i cui favolosi proventi fondarono la Tate Gallery, era socio della famosa Tate & Lyle, una ricca società che commercializza da secoli lo zucchero proveniente dalle piantagioni della Giamaica dove, con ogni probabilità, gli avi di Locke erano stati deportati dall'Africa a lavorare come schiavi.
procession hl HEW LOCKE war room a cp cold dark matter an exploded view cp perpetual canon b cp procession f hl procession hl. 30 pieces of silver cp antonio riello