Francesco Bonami per “la Stampa”
Francesco Vezzoli sta facendo baciare su un piedistallo due teste romane di pietra, una di uomo e una di donna, inventandosi un Bacio eterno che sarà l’unica opera della sua prossima mostra alla Galleria Almine Reich di Londra.
Ma non siamo qui per parlare dei suoi baci. Vogliamo sapere come è nata l’idea di Prima donna, la videoinstallazione che accompagna il concerto del musicista rock Rufus Wainwright e che debutta questa sera ad Atene, nel teatro di Erode Attico sotto il Partenone, in occasione del Democratic Forum organizzato da The New York Times.
La vera notizia è che a impersonare Maria Callas, la protagonista, è Cindy Sherman la famosissima fotografa americana. Da quando Cattelan è andato in pensione, Vezzoli è l’artista italiano più attivo in campo internazionale.
Come è nato questo progetto?
«Stavo facendo da cicerone a Rufus Wainwright in un museo per un programma televisivo del canale tedesco Arté quando mi ha chiesto di dirigere la sua opera che dura un’ora e cinque minuti. Il mio video che la accompagnerà è di 31 minuti».
Cindy Sherman come è arrivata?
«Rufus mi aveva proposto attrici famose come Susan Sarandon, ma io pensavo a qualcuno di diverso, non un’attrice ma qualcuno che avesse giocato a fare l’attrice. Cindy Sherman fa questo con la sua arte da sempre».
È stato semplice convincerla?
«Io mi aspettavo un no secco, invece è stata entusiasta dell’idea. Non ci potevo credere».
Ma la Sherman non assomiglia alla Callas.
«No, ma tutto è un’astrazione. Il tema dell’opera è quello di una vecchia diva che si prepara a tornare in scena. La Sherman ha sempre impersonato nelle sue foto la donna che si mette in scena, la donna che diventa personaggio».
rufus wainwright, cindy sherman e francesco vezzoli
Che sensazione si prova a dirigere un altro artista?
«Mi sono emozionato come quando feci il mio primo video con Iva Zanicchi. Per me Cindy Sherman è due gradini sotto Dio».
Quanto costa fare un video di questo genere?
«Attorno ai 100 mila euro. Abbiamo lavorato tutti gratis».
Considera questo progetto un suo lavoro?
«Assolutamente no: è una collaborazione a tutti gli effetti firmata da tre persone. Il mio ruolo è quello del regista».
Come si può definire questa collaborazione?
«Non è la Fura dels Baus e nemmeno Robert Wilson. La cosa più vicina che mi viene in mente sono i quadri a tre mani fatti da Warhol, Basquiat e Clemente insieme».
Come è la condizione dell’artista contemporaneo italiano?
«Oggi abbiamo la cultura della moda ma non dell’arte. L’artista italiano continua ad arrabattarsi. È quello che faccio io. Che poi alla fine consente anche di poter giocare un po’ di più».
Qual è la differenza con il sistema americano?
«Oggi il sistema dell’arte internazionale è un meccanismo perfetto all’interno del quale anche gli artisti sono meccanismi perfetti. Arrabattarsi non funziona bene nel mondo dell’arte di oggi».
Ma lei è una star internazionale...
«Io sono assolutamente italiano. Sono anche cosciente di non essere una star del mercato. Se lo fossi, forse perderei questo senso di gioco che trovo nel mio lavoro».
Il collezionista oggi chi è?
«Un tempo il collezionista era uno che voleva distinguersi dal gruppo, oggi invece la maggior parte vuole appartenere al gruppo».
C’è chi la considera superficiale.
«Anche di Mata Hari pensavano facesse la spogliarellista».
Se lei avesse molti soldi come li spenderebbe?
«Finanzierei i musei. Mi sorprende sempre il fatto che artisti ricchissimi oggi non sentano la necessità di aiutare finanziariamente i musei che a volte hanno fatto sforzi economici incredibili per presentare il loro lavoro».
Qual è il suo prossimo progetto?
«Al Festival Performa di New York presento un balletto rinascimentale con David Alberg, primo ballerino del Bolshoi e dell’American Ballet. Mi sono fatto aiutare da un’esperta rinascimentale, Deda Cristina Colonna. Sarà un mix fra Merce Cunningham e Beato Angelico».
Una noia fenomenale...
«Mi accusano di fare sempre casino, questa volta ho realizzato una cosa assolutamente scientifica. A parte la frutta e i fiori come nella Camera degli sposi di Mantegna. La musica è originale del ’400».
Il titolo?
«Fortuna desperata».