Antonio Riello per Dagospia
Londra e’ visibilmente affaticata in questo fine Agosto 2020, manca il solito splendore spendaccione e anche luoghi centralissimi come Regent Street e Piccadilly Circus hanno un aspetto quasi inquietante. Strade semi-vuote, non si contano i negozi ad orario ridotto e quelli chiusi (non si sa per quanto…). Desolazione.
I ristoranti sono decisamente sottotono e qualcuno offre sconti e promozioni. I famosi ed esclusivi club, il fulcro della vita sociale, pure arrancano: o sono temporaneamente chiusi o offrono ai soci dei bonus gratis di 6 mesi. La magnifica vita notturna di Londra sembra ridotta a qualche cenetta in casa con pochi amici fidati (e soprattutto “tamponati”).
In breve: la citta’ ha preso un botta spaventosa. Con la sua economia basata su scambi globali di persone, cose e capitali ha particolarmente risentito della paralisi causata dalla pandemia. Turisti: pochi e, in apparenza, assai cauti e parsimoniosi. Le miriadi di impiegati/pendolari che affollavano quotidianamente la City sono ancora quasi tutte in tele-lavoro o in part-time.
Anche i flussi finanziari, l’elemento decisivo della ricchezza londinese, sono al momento in uno stallo desolante: un futuro (almeno a breve) sostanzialmente imprevedibile puo’ spaventare anche gli investitori piu’ solidi e temerari. C’e’ da dire, a parziale possibile consolazione, che parecchie persone sono ancora in vacanza e certamente torneranno ai primi di Settembre.
Le distanze interpersonali qui le rispettano da secoli (per abitudine consolidata). Pochi indossano mascherine per le strade e nei locali. Sui mezzi pubblici un po’ di piu’, ma perfino qualche autista di autobus ne e’ sprovvisto. Meglio i tassisti (le portano tutti): pare proprio che chi paga un prezzo piu’ alto per il trasporto abbia diritto ad una maggiore salute/sicurezza. Ma le infezioni virali, si sa, amano ancora di piu’ la massa che le elites. Molti gentiluomini comunque non perdono, malgrado le avverse circostanze, il proprio impeccabile aplomb britannico.
Il Times dedica in pratica ogni giorno almeno un paio di pagine al Covid, ma non tutti i quotidiani lo fanno. Qui se ne parla poco, alla fine, di ‘sto virus. Cosi’ come del Brexit: sembra che non sia mai successo niente. Solo qualche accenno, quasi imbarazzato, ogni tanto. Evaporata nel nulla, come se a fine Dicembre non ci fosse la resa dei conti.
In compenso tutti si lamentano (chi non l’ha votato ma soprattutto chi lo ha fatto) del premier. In qualche foto recente ricorda uno zombie con lo sguardo preoccupato, il suo tipico sorriso guascone si e’ sensibilmente appannato ed indossa un improbabile berretto di lana da boscaiolo. A suo carico una gestione non certo esemplare dell’emergenza sanitaria e una visione decisamente debole (se non addirittura confusa) delle pesanti ed incombenti sfide economico/politiche. Altro che Churchill….Uno come Boris Johnson riesce a dare un filo di speranza perfino alla disarticolata, e spesso improvvisata, classe politica italiana.
Il mondo dell’Arte Contemporanea londinese ricorda in queste settimane un tuffatore in apnea. E’ una gara di resistenza e di risorse (finanziarie e mentali). In attesa di un disgelo, che pero’ non ha ancora ne’ una data ne’ nemmeno una stagione. Intanto e’ saltata Frieze, la fiera che era il perno principale su cui girava la programmazione delle gallerie. Si spera, anche qua, in un vaccino che presto spazzi via il problema principale. Facendo finta di dimenticare che il tempo che passa potrebbe modificare pericolosamente gusti ed abitudini (date per certe) dei collezionisti.
I Musei che fanno? Qualcuno rimane ancora chiuso (come il British Museum), altri funzionano come se niente fosse (la Royal Academy) altri ancora si arrangiano in qualche modo. Tra quest’ultimi la National Gallery che ha messo in piedi una piccola rassegna su Tiziano Vecellio (aperta fino al 17 Gennaio 2021) che verte su 6 dipinti di tema mitologico commissionati da Filippo II di Spagna. Tutto e’ molto interessante naturalmente, ma e’ un progetto espositivo in qualche modo minore che potrebbe suonare un po’ come “fare di necessita’ virtu’”. Il 3 di Ottobre comunque dovrebbe aprire una attesa mostra su Artemisia Gentileschi artista che, oltre che romana e napoletana, e’ stata, almeno per un po’, anche londinese.
L’Imperial War Museum, piazzato nel quartiere di Lambeth, riapre sfornando un curioso AI WEI WEI in versione “armata”. L’artista e’ ben noto al pubblico britannico (Tate Modern 2010 e Royal Academy 2015). “History of Bombs” e’ una potente installazione che si sviluppa sul pavimento del grande salone centrale (uno spazio affollato di carri armati ed aerei da guerra) e in parte prosegue anche su alcune pareti adiacenti. Vi sono raffigurate (fuori scala, ingigantite) bombe e missili lanciati da aerei, dal 1911 ad oggi. Ce ne sono di ogni tipo e risma, una enciclopedia visiva, non mancano nemmeno le bombe atomiche (e ci si cammina sopra).
In effetti sono riproduzioni di immagini presenti su riviste e libri di carattere militare. Come si dice da queste parti: “really impressive”. Ed e’ indiscutibile e giusta la polemica contro la criminale assurdita’ dei tanti (troppi) esplosivi presenti al mondo. Il Guardian parla, non senza retorica, di “richiamo all’ insaziabile desiderio di distruzione che esiste nel mondo”.
Nelle intenzioni pre-Covid dell’ IWM avrebbe dovuto essere il “piatto forte” di un progetto piu’ ampio sul tema dei rifugiati di guerra, “Refugees” appunto. In Ottobre una parziale versione del progetto originale sara’ probabilmente (c’e’ ancora una certa vaghezza da parte del Museo in proposito…) visibile al pubblico. Speriamo.
L’artista, un imponente vulcano di creativita’ noto in tutto il mondo, ha fatto della sua “dissidenza” rispetto alla Repubblica Popolare Cinese un emblema professionale, considerando se stesso il “rifugiato permanente” per antonomasia. Qualcuno sostiene che ci marci anche un poco su questa storia, ma naturalmente lasciamo ai maligni queste considerazioni.
ANTONIO RIELLO ALLA MARCIA ANTI BREXIT
L’unica cosa che suscita una leggera perplessita’ in questa installazione (peraltro assolutamente magnifica) e’ che tra le tantissime bombe raffigurate, e provviste di opportuna ed esauriente didascalia, ce ne siano di tutte le nazionalita’ (Americane, Russe, Britanniche, Italiane, Tedesche, etc. etc.), ma non ne compaia nessuna di marca cinese. Chi scrive almeno non e’ riuscito, anche se munito di tempo e certosina pazienza, a scovarne nemmeno una. Abbastanza curioso: le armi made in R.P.C. sono usate da mezzo mondo (Iran compreso).
Forse la “dissidenza” dell’artista si e’ affievolita e ha fatto capolino “l’amor patrio”? Forse se ne e’ solo banalmente dimenticato? Forse non e’ riuscito a trovare illustrazioni di missili cinesi? (strano, il Janes Yearbook esce ogni anno e ne mostra di solito parecchi). C’e’ solo da auspicare che stavolta non abbiano ragione i soliti sospettosi maligni.
RIELLO CHE SI DIFENDE DAL COVID IN INGHILTERRA