#coronavirus: parliamo di un gravissimo problema.
Il contagio degli operatori sanitari:
- Sino a 11-3 non conoscevamo i numeri
- Oggi sono 2.629 (8,3% dei casi totali)
- Procedure e dispositivi protezione ancora inadeguati
Prendersi cura di chi si prende cura#COVID19italia pic.twitter.com/KfmCyRweiD
— Nino Cartabellotta (@Cartabellotta) March 17, 2020
1 - “CI STIAMO INFETTANDO TRA DI NOI”
Barbara Gerosa per il “Corriere della Sera - Edizione Milano”
«Io ho già fatto un turno nella polveriera, ma non va bene, così non va bene. Noi potenzialmente tutti positivi e fonte di contagio per altri». Il messaggio sul telefonino arriva a tarda notte. Lo sfogo di uno degli operatori in servizio presso gli ospedali di Lecco e Merate. «Non parlo da coniglio né da infame, ma temo che se ci stiamo contagiando tra di noi è perché non lavoriamo in sicurezza».
Nessuno si tira indietro, tutti in prima linea, ma i numeri sono da brivido. A ratificarli la stessa azienda ospedaliera. Medici, infermieri, operatori, sono 119 quelli risultati positivi al tampone, infettati dal coronavirus: 23 medici, tre in servizio al pronto soccorso, 74 infermieri, 12 operatori socio sanitari del Manzoni e del Mandic. In una chat interna al personale ci sono le paure e le disposizioni: «Nessun camice rinforzato per i dottori di supporto nei reparti Covid, non è necessario se non entrano nelle camere. Ne abbiamo pochi, potremmo rimanere senza per chi opera sul paziente».
«I dispositivi sono necessari altrimenti saranno gli operatori sanitari a pagare il maggiore tributo», fa presente il collega. C' è spazio per la commozione: «Mi viene tristezza a vedere l' ospedale intero ridotto a campo di guerra, tutti a fare tutto», il messaggio che ribalza su un' altra chat.
striscione per medici e infermieri
C' è l' orgoglio e la preoccupazione. I sindacati davanti ai numeri dei sanitari infettati hanno chiesto un incontro urgente alla direzione ospedaliera. Il prefetto di Lecco, Michele Formiglio si è fatto portavoce delle loro istanze. «A preoccupare sono i dati dei lavoratori positivi al coronavirus, ci dicono 120, temiamo 160, su un totale di 440 contagi complessivi nel lecchese - scrivono Cgil, Cisl e Uil -. Ci chiediamo cosa non stia funzionando. Sono i protocolli di gestione? Oppure la mancanza di dispositivi di protezione individuali? Tutto questo sta cagionando ai dipendenti un fortissimo stress, il timore di poter infettare sé stessi e i propri famigliari».
Il direttore generale dell' Asst di Lecco, Paolo Favini, non si sottrae al confronto: «Gli operatori sanitari sono i più esposti, ma la percentuale dei casi positivi è del 5,17%: 1.800 infermieri, 500 medici, 119 infetti nei presidi lecchesi». La voce è stanca, alcuni suoi collaboratori sono malati o in quarantena.
«Non c' è alcun cluster - rassicura -. I dispositivi in dotazione al personale sono a norma Oms e Regione Lombardia e ad oggi erogati in numero adeguato. Qualcuno si è lamentato per l' uso delle mascherine chirurgiche? Quelle Fp2 e Fp3 sono per gli operatori più a rischio, come chi deve intubare i pazienti. Tutti hanno avuto i camici rinforzati, e dove non è stato possibile abbiamo fornito quelli idrorepellenti suggerendo di indossarne tre alla volta». È una corsa contro il tempo. Le Rianimazioni sono piene sia a Merate che a Lecco, 424 le persone ricoverate per il virus nei due presidi: per 93 si attende ancora l' esito del tampone, gli altri sono tutti positivi. Si cerca di reclutare altro personale, pensionati e specializzandi dei corsi di laurea.
appello infermiera alessia bonari 1
Poi la boccata di ossigeno: «Sono stati indirizzati a Lecco rinforzi importanti, a ore 36 operatori, 12 medici e 24 infermieri, arriveranno dalla Cina - annuncia Favini -. Capisco i timori, siamo uomini, siamo fragili, ma posso assicurare che stato fatto l' impossibile e anche di più».
2 - IN PRIMA LINEA SENZA DIFESE LA PROTESTA DEI MEDICI DI BASE
Francesca Angeli per “il Giornale”
Camici bianchi in prima linea senza difese. Questa volta i medici di famiglia dell' area di Milano e hinterland, quella più sotto pressione, sono allo stremo e hanno deciso di mettere nero su bianco la denuncia del mancato rispetto delle regole di sicurezza previste dal decreto del governo. E non è il solo motivo di protesta da parte dei medici che chiedono di essere testati rispetto alla possibile positività da coronavirus. In sostanza si monitorano soltanto quelli con sintomi già manifesti. Un errore clamoroso perchè i primi ad essere in contatto con i pazienti fragili sono proprio i camici bianchi che da settimane denunciano il rischio che ciascun medico sia un «superdiffusore».
Per questo tutti i sindacati medici insistono sulla necessità di estendere «i tamponi a chi, in ragione della sua professione, rischia di più di essere contagiato dal Covid-19: medici, infermieri, tecnici, operatori socio sanitari, inclusi i dipendenti delle cooperative sociali». I tamponi vanno estesi in primis a loro, «per isolare anche i positivi asintomatici, per proteggere le persone».
INFERMIERI ALL OSPEDALE DI CODOGNO CON MASCHERINE MA SENZA GUANTI
Nell' esposto dello Snami che è indirizzato anche al Presidente della Regione, Attilio Fontana, e a tutte le autorità competenti il presidente provinciale, Roberto Carlo Rossi scrive: «I medici di famiglia sono stati lasciati ancora allo sbaraglio, senza adeguati dispositivi di protezione individuale, mascherine omologate, camici monouso, occhiali, guanti» strumenti indispensabili ad un esercizio della professione in sicurezza e che nell' emergenza risultano prescritti per legge.
Il malessere dei medici di base in Lombardia cresce giorno dopo giorno. Da quando è esplosa l' emergenza coronavirus le chiamate sono aumentate in modo esponenziale. Agli anziani poi è stato chiesto di non uscire quindi i medici di base dovrebbero recarsi in casa ma se poi si espongono al rischio di un contagio, come è accaduto ad un medico di base di Lodi, in condizioni gravissime.
Rossi denuncia al prefetto i «gravi accadimenti in netto contrasto con il Dpcm dell' 8 marzo scorso» chiedendo di mettere in atto ciò tutto ciò che serve a consentirne il rispetto: in pratica di requisire tutto quello che serve e metterlo a disposizione dei medici.Ad oggi, denuncia Rossi, sono state consegnati dalle Asl «poche mascherine chirurgiche, mediamente 5 a medico; camici monouso non idrorepellenti, mediamente 2 a medico; mediamente una confezione di 100 guanti; nessun tipo di occhiali o visiera». Ma «le idonee mascherine che questo sindacato aveva reperito sul mercato e ordinate per fornirle, in sostituzione del mancato adempimento di parte pubblica, ai tanti medici che ne hanno fatto richiesta non sono consegnabili per intervento del Governo che risulta aver bloccato tutte le importazioni.
ELENA PAGLIARINI - INFERMIERA DI CREMONA
Quindi noi medici in prima linea sul territorio ci troviamo non solo senza i dispositivi di protezione individuale prescritti da Governo e Regione che non li distribuisce, ma anche nell' impossibilità di acquistarli a nostre spese anche dopo averli reperiti autonomamente» Dunque mascherine e tamponi che invece stentano a decollare in molte regioni nonostante l' appello dell' Organizzazione mondiale della Sanità rilanciato dal rappresentante del board italiano, Walter Ricciardi.
«Un semplice messaggio per tutti i Paesi: test, test, test. Fate il test a ogni caso sospetto di Covid-1», scrive in un tweet Ricciardi. Se questi pazienti risultano positivi, ammonisce l' agenzia Onu per la Sanità, bisogna isolarli e scoprire con chi hanno avuto contatti stretti fino a 2 giorni prima che sviluppassero i sintomi in modo da testare anche queste persone.