1 - IL VIROLOGO CRISANTI A CIRCO MASSIMO: "RIAPRIRE SOLO CON RETE DI CONTROLLO, ALTRIMENTI CI SARÀ EPIDEMIA PEGGIORE DI ADESSO. CHI HA GESTITO EPIDEMIA L'HA VISTA IN TV, VENGANO A BERGAMO PER RENDERSI CONTO. SE CONTE PENSA CHE FAREBBE STESSE COSE, IO RESTO SORPRESO"
da Circo Massimo - Radio Capital
"Fin dall'inizio in Veneto abbiamo cercato di convincere le autorità regionali, che poi hanno sposato questa tesi, che la battaglia contro l'epidemia va vinta sul territorio. Qui bisogna identificare le persone che sono infette, sia sintomatici sia asintomatici, e isolarle. Sono loro la fonte del contagio. Meno persone contagiano, meno persone arrivano nei reparti di malattie infettive e vanno in rianimazione. All'inizio non si è capita questa cosa e si è pensato che la battaglia si sarebbe vinta negli ospedali. Ma nessuna battaglia è stata mai vinta negli ospedali".
Andrea Crisanti, professore ordinario di microbiologia all'Università di Padova, spiega ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital che il principale errore nella gestione dell'emergenza è stato "sottovalutare completamente l'epidemia all'inizio, i dati stavano davanti agli occhi tutti. A Vo' Euganeo, il 20 febbraio, c'era il 3% della popolazione infetta. Un dato che, trasportato su scala nazionale, dà la cifra di un milione e mezzo di persone. Ricordo che nell'ultima settimana di febbraio si parlava di ripartire e far vedere che in Italia non c'era pericolo, come se stessimo danzando su una nave che stava andando a fondo. Adesso stiamo ancora pagando le conseguenze di quell'errore".
In un'intervista al quotidiano spagnolo 'El Pais', il premier Conte ha detto che, se potesse tornare indietro, si comporterebbe allo stesso modo. "I risultati sono sotto gli occhi di tutti, gli italiani hanno visto quello che è successo. Se le autorità politiche pensano di rifare le stesse cose, io sono un po' sorpreso" osserva il prof. Crisanti a Radio Capital. "La maggior parte delle persone che ha gestito quest'epidemia l'ha vista in tv e l'ha continuata a vedere in tv. Avrei trasferito gli uffici della Protezione Civile, del direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, del consigliere del governo a Milano o a Bergamo, per vedere quello che stava succedendo sul territorio. Forse si sarebbero resi conto della dimensione del problema".
"In questo momento c'è ancora trasmissione: i casi non diminuiscono, abbiamo una leggera diminuzione nel numero dei morti. Ma come mai, nonostante tutte queste misure di restrizione, abbiamo ancora trasmissione? Ci si è chiesto se tutte queste persone che sono malate a casa hanno un impatto sulla trasmissione ad altri membri della famiglia? - osserva il professore ordinario di microbiologia all'Università di Padova a Radio Capital - noi abbiamo sotto gli occhi gli esempi opposti di Vo' Euganeo e della nave Diamond Princess. A Vo', dopo il primo caso, abbiamo testato tutti, abbiamo visto dove stava l'infezione e abbiamo messo i casi in isolamento.
Sulla Diamond Princess hanno usato l'approccio contrario. Hanno aspettato che una persona si sentisse male per portarla via dalla nave e questo ha creato il disastro con decine di casi. Il problema è che questa trasmissione residua avviene nelle case, amplificato dal fatto che molte persone malate sono rimaste a casa senza diagnosi" .
Come uscire da questa impasse? "Penso che l'Italia abbia tutte le risorse tecnico-scientifiche per affrontare questa situazione e rimediare a errori e valutazioni inappropriate. Uno dei passi principali da fare è cominciare ad affrontare la situazione a seconda dei vari territori. Ad esempio la Sardegna ha un problema diverso dalla Lombardia e richiede un approccio totalmente diverso. Se non affrontiamo il problema con questo metodo, sarà sempre più difficile uscirne".
"I dati devono avere più trasparenza - aggiunge il prof. Crisanti a Circo Massimo, intervistato dal direttore Massimo Giannini e Oscar Giannino - ad esempio sarebbe interessante sapere quanti nuovi casi sono persone che hanno parenti in casa. Significa che bisogna fare un'operazione molto più aggressiva per identificare le persone che stanno male a casa: si va nelle case, si fanno tamponi a familiari e vicinato e tutte le persone positive vengono portate in strutture d'accoglienza diverse dalla loro casa".
Quando e come ripartire? Secondo il prof. Crisanti "bisogna cominciare da subito a prepararsi per quel momento, è impensabile ritenere che si ripartirà quanto tutti i casi saranno identificati. Bisognerà ripartire con un rischio accettabile, significa che adesso dobbiamo prepararci, producendo e stoccando dispositivi di sicurezza come mascherine e aumentare drammaticamente la capacità di fare tamponi per verificare la presenza degli anticorpi. Quando non ci sarà più un grande numero di casi, le attività produttive dovranno riprendere.
Bisogna assicurare la sicurezza dei lavoratori e fare in modo che non si infettino e non facciano ripartire l'infezione. Si può ripartire solo quando avremo messo in piedi una struttura di protezione e una rete di controllo, altrimenti scoppia un'epidemia ancora peggiore di quella che abbiamo adesso. Dopo Pasqua potremo anche vedere una diminuzione dei casi e dei morti, ma se non ci si prepara non saremo pronti a ripartire. Come fa una fabbrica a rimettere nelle proprie strutture mille persone senza mascherine o senza vedere se ci sono infetti? Sarebbe una follia. La preparazione necessaria per la ripartenza consiste nelle tre 'd': diagnostica, dati e dispositivi".
2. CRISANTI: “TROPPI MORTI PER COLPA DELL’ESECUTIVO”
Alessandro Gonzato per “Libero quotidiano”
«Il governo di un Paese che dopo un mese di "quarantena" conta ancora mille morti al giorno dovrebbe chiedersi cos' ha sbagliato, perché le misure di contenimento sono state inefficaci. E invece abbiamo a che fare con persone arroccate nelle proprie posizioni, che continuano a fare e dire cose sbagliate con sprezzo dell' evidenza. Se una nazione adotta provvedimenti goccia a goccia significa che non ha una visione, che cerca solo di mettere delle pezze una dopo l' altra. Finora chi doveva prendere le decisioni ha rincorso emotivamente la quotidianità senza avere il minimo piano d' azione».
Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di medicina molecolare dell' Università di Padova, professore all' Imperial College di Londra, è a capo della task force sanitaria del Veneto. La regione guidata da Luca Zaia, al momento, è quella che al Nord ha la percentuale minore di morti e contagiati. In Veneto il tasso di mortalità legata al Coronavirus si aggira attorno al 4%, in Lombardia al 14, in Emilia-Romagna all' 11.
Professore, la differenza è enorme: come la spiega?
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«Abbiamo fatto più tamponi di tutti per isolare il maggior numero possibile di positivi. Vo' Euganeo, il primo nostro focolaio, è stata chiusa quasi subito, la popolazione è stata sottoposta a un doppio test, prima e dopo la "quarantena", e il risultato è che i contagi, di fatto, si sono azzerati. Poi c' è la questione legata agli ospedali».
Cioè?
«In quello di Padova, ad esempio, scoperto il primo contagiato abbiamo fatto il tampone a tutte le persone del reparto, sia medici che pazienti, e isolato immediatamente chi aveva contratto il virus. Siamo intervenuti in modo capillare perché la struttura funzionasse al meglio, riducendo al minimo la possibilità che l' epidemia si diffondesse all' interno, cosa che purtroppo è accaduta in alcuni ospedali lombardi.
Questo ha permesso anche al nostro personale di lavorare in modo più sereno. Abbiamo sottoposto al test tutti, 6 mila persone, e ora abbiamo un tasso di infezione bassissimo».
Verona però è tra i nuovi focolai d' Italia
«È vero, e i motivi sono due. Il primo è la vicinanza con Brescia e Bergamo. Il secondo, probabilmente determinante, è che i dirigenti dell' ospedale non erano preparati, e infatti hanno contratto quasi tutti il virus. Senza una guida salda è nata una situazione d' insicurezza che si è ripercossa sulla quotidianità. Se salta l' ospedale salta tutto».
Il governo doveva adottare il "modello Vo'" fin da subito?
«Avrebbe dovuto disporre il campionamento della popolazione in tutte le "zone rosse". Non averlo fatto peserà sulle coscienze. Il 26 febbraio, a Vo', il 3% della popolazione era infetta. Su scala nazionale significa che c' erano già un milione e mezzo di contagiati, un numero enorme. L' Italia ha perso due settimane a discutere dei danni all' economia e di quelli d' immagine: una follia. Quelle due settimane, mi creda, le stiamo ancora pagando».
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Come se ne esce? Ulteriori restrizioni?
«Non servirebbero».
I suoi colleghi, però, in tivù non fanno che ripetere che per sconfiggere il virus bisogna stare a casa
«Certo, un periodo di isolamento è necessario, io dico solo che a questo punto non servirebbe a niente imporre ulteriori divieti, la gente li sta già rispettando. Non è colpa degli italiani se abbiamo ancora migliaia di casi al giorno».
Quindi cosa dovremmo fare?
«Vanno sottoposte al tampone domiciliare tutte le persone che chiamano il medico lamentando i sintomi.
Idem per i familiari, anche se sono asintomatici. I positivi vanno portati in alberghi e strutture ad hoc per interrompere la catena del contagio. I dati parlano chiaro: le case sono veri e propri incubatori d' infezione. Da questa brutta storia se ne esce solo così».
È la strada che percorrerà il Veneto?
«In realtà coi tamponi abbiamo già cominciato. Al resto credo che ci arriveremo presto. La strategia nazionale, chiamiamola così, non ha funzionato. Bisogna prenderne atto. Questa è una battaglia che si vince sul territorio prima ancora che negli ospedali. Più casi vengono identificati e meno gente arriva al pronto soccorso. Più casi vengono scoperti e più diminuisce la trasmissione».
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Si può riprendere il "Corona" dopo essere guariti?
«È una questione molto importante: a oggi non ci sono prove che escludano casi di recidiva».
Quindi, ci scusi, serve davvero continuare a stare a casa e tenere chiuse le aziende? Oltretutto, a "quarantena" terminata, la gente tornerà al bar, al ristorante, a baciarsi e abbracciarsi
«L' isolamento consente di rallentare la circolazione del virus, e ciò non va messo in discussione. È altrettanto vero però che a tempo debito ci dovremo porre il tema della ripresa. Il Covid-19 non sparirà all' improvviso».
Quando il Paese ripartirà dovremo accettare una percentuale di nuovi morti e contagiati?
«Qui si pone un duplice tema. Il primo è di natura tecnica: quali parametri utilizziamo per calcolare il rischio? Il secondo è politico: il governo dovrà decidere cosa ritiene accettabile o meno».
Non si fa altro che parlare di "picchi" e "curve". E se il "picco" non esistesse e continuassimo con questa tendenza?
«Se la curva continua ad andare su e giù, e finora è andata così, significa che i provvedimenti non hanno sortito l' effetto sperato. La media del periodo d' incubazione è di 5-7 giorni. Se implementi le misure restrittive dovresti vedere i risultati dopo 8-9. Non abbiamo visto ancora niente».
Cos' altro non ha funzionato?
«Non abbiamo più i professionisti di un tempo, quelli che hanno gestito il colera, la malaria, il tifo».
«Andrà tutto bene», «ci rifaremo in estate». Il Paese va avanti a slogan. Secondo lei come andrà: a luglio avremo una vita quasi normale?
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«Di questo passo ce lo scordiamo, a meno che il virus, come nel caso della Sars, non sia estremamente sensibile al caldo. Ma devo essere sincero, sarebbe un miracolo, non ci sono dati che lo dimostrano».
L' Inghilterra, che lei conosce bene, è passata velocemente dalla teoria dell' immunità di gregge alla serrata
«Gli inglesi sono pragmatici: se si accorgono che una decisione è sbagliata ci mettono un attimo a cambiarla. Mica come da noi».