Mauro Evangelisti per “il Messaggero”
I positivi vanno cercati con grande cura e tempismo sul territorio, lontano dagli ospedali. I tamponi vanno eseguiti nel giro di 24 ore. Anche perché è plausibile che in Italia almeno 3 milioni di persone abbiano avuto contatto con il coronavirus, sia pure con enormi differenze da regione a regione. Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Organizzazione mondiale della sanità e componente del Comitato tecnico scientifico, invita a non dare nulla per scontato in questa fase due: la battaglia contro Sars-CoV-2 è ancora in corso.
Cosa ci deve preoccupare nella fase due?
«Ci stiamo muovendo in un terreno che è poco noto e sulla base di modelli che devono essere validati. Il senso di una riapertura progressiva e del dare un intervallo di quindici giorni tra l'una e l'altra fase, serve proprio a capire cosa succederà. Mettere in moto quattro milioni e mezzo di persone non è uno scherzo».
Cosa ci aiuterà?
«Le misure di accompagnamento messe in piedi dal ministro Speranza: rafforzamento della capacità ospedaliera e potenziamento dell'azione sul territorio. La chiave è reagire immediatamente e circoscrivere un eventuale riaccensione dell'epidemia. Inoltre è importante la sorveglianza a livello delle strutture produttive, dove la gente va a lavorare. Abbiamo una batteria di risposte terapeutiche che in qualche modo funziona. I nostri sono i medici più bravi del mondo. E sono state incrementate le misure di protezione del personale sanitario».
Non si stanno facendo ancora pochi tamponi?
«Oggi abbiamo più materiale di laboratorio, più capacità di fare diagnostica. I tamponi andranno eseguiti a coloro che hanno una sintomatologia suggestiva che però rispetto all'inizio si è diversificata molto: mentre prima era una polmonite o una infezione polmonare, oggi invece la sintomatologia clinica per cui si ricorre al tampone è più ampia. Quello che importa però, oltre a fare una diagnosi precoce, è identificare i contatti. L'app sarà fondamentale. Il tampone di massa non è una soluzione, vanno fatti sulla base di un sistema di sorveglianza attivo che identifichi il positivo entro 24 ore, prima che vada in ospedale».
Non c'è il rischio che le regioni siano portate a programmare pochi tamponi per non avere un incremento dei casi positivi che fa scattare l'alert di uno dei 21 indicatori da cui dipendono nuove chiusure?
«Gli indicatori sono molti, non c'è solo quello. C'è il numero dei ricoveri, anche in terapia intensiva. Quanto più si riesce a intervenire sul territorio, tanto meglio è per tutti. Lo ripeto: sarà fondamentale essere rapidi nei tamponi, eseguirli entro 24 ore».
L'utilizzo dei mezzi pubblici la preoccupa?
«Beh, sì. Un ufficio o una fabbrica possono adattarsi alle normative igienico sanitarie, il servizio di trasporto è più pericoloso, potenzialmente, perché la gente si muove. Anche se è stato fatto un gigantesco sforzo sulla metro e sui bus per fissare i luoghi dove stazionare. Serve disciplina da parte degli italiani, quella che hanno dimostrato fino ad oggi. Non bisogna rilassarsi».
Il futuro sarà test a raffica in tutti i luoghi pubblici?
«Darei un'altra risposta. Il futuro sarà avere tutte le persone vaccinate. Ci sono un'ottantina di vaccini in valutazione, almeno cinque o sei estremamente promettenti che potrebbero darci uno strumento efficace entro il primo trimestre del prossimo anno. La piattaforma di studio per i vaccini è la stessa della Sars, la ricerca non è partita da zero. A livello di Oms ci stiamo cautelando perché il costo del vaccino, da chiunque sia sviluppato, sia gestibile. Non può essere riservato solo a chi se lo potrà permettere».
Siamo partiti con la fase 2 senza l'esito dei test sierologici e senza la app. Non siamo in ritardo?
«Abbiamo una modellistica molto avanzata e sofisticata. Lo screening con il test sierologico non è vincolato alla riapertura, ma ci permetterà di ricostruire la reale circolazione del virus».
Quanti positivi o ex positivi si aspetta?
«Non mi sbilancerei; stando ai dati della Cina, però, siamo nel giro di qualche milione. Anche più di tre milioni. Abbiamo regioni, molto popolose, che hanno avuto un attacco intenso del virus. Ma i valori saranno ovviamente molto differenti da regione a regione».
Non sappiamo quanto dura la protezione degli anticorpi e se c'è.
«L'esperienza sulla famiglia dei coronavirus dice che l'immunità dura uno o due anni. Questo è nuovo, per cui non ci sono certezze. Ma non abbiamo un caso al mondo di recidiva».
Quanto è importante la app?
«Molto, ma non è l'unica soluzione, s'integra con gli atri provvedimenti. Spero che gli italiani capiscano che è fatta per proteggere, non per invadere la privacy. Diamo la possibilità alle app di ricevere i nostri dati per portarci la pizza a casa, mentre qui stiamo parlando della difesa della nostra salute. Spero che i più giovani aiutano anche gli anziani a installare la app».