Ilaria Del Prete per www.leggo.it
«Se dovessi descrivere la mia vita con una parola, sceglierei “rinuncia”, soprattutto ad una vita “normale”». Erica Astrea ha 35 anni, a prima vista nessuno potrebbe mai immaginare che soffra di una malattia talmente invalidante da averle fatto desiderare la morte sin da bambina. La ragazza di Teverola (Caserta) è tra le 15 persone in Italia affette da trimetilaminuria (TMAU), una malattia rara nota anche come sindrome da odore di pesce. Raccontare la sua storia le costa fatica. La prima volta lo ha fatto in un'intervista alle Iene, e ora - dopo un lungo anno di silenzio - torna a farlo per aiutare chi soffre come lei.
Erica, cos’è la sindrome da odore di pesce marcio?
«È una malattia del metabolismo che provoca un difetto nella normale produzione della flavina monossigenasi (FMO3)».
E quindi cosa le succede?
«Il mio corpo non è capace di degradare una molecola maleodorante (TMA) che si accumula nell’organismo e viene espulsa attraverso la sudorazione, la saliva, l’urina, il respiro e le secrezioni vaginali, provocando quale effetto l’emanazione di cattivo odore».
Di che tipo?
«Acido. Simile a quello del pesce marcio. Da qui il nome della sindrome».
Quando è comparsa la mattia?
«È presente sin dalla nascita, ma diventa evidente solo quando il bambino viene svezzato o quando inizia a ingerire cibi che contengono precursori della trimetilamina (come la colina, la lecitina, la betaina e la carnitina). Io non sentivo il mio odore, e anche i miei genitori ne erano assuefatti al punto da non notarlo. Ma non era raro che le persone attorno mi indirizzassero frecciatine parlando di igiene personale».
E lei come reagiva?
«Mi lavavo in modo compulsivo, arrivando a fare anche dieci docce al giorno».
Come è riuscita a individuare la malattia?
«Un giorno, avevo 30 anni, il mio ex fidanzato mi ha detto che in determinati momenti emanavo un odore simile a quello del pesce marcio. Così abbiamo iniziato ad indagare e siamo arrivati alla TMAU attraverso un test effettuato presso il centro di ricerca dell’Università di Messina, coordinato dalla dottoressa Antonina Sidoti. All’epoca era l’unico in Italia, oggi ce ne sono anche a Roma, Napoli e Bologna».
Prima di allora non aveva mai chiesto un parere medico?
«Sì. Gli specialisti che avevo consultato riconducevano il tutto a una questione psicosomatica. Ma io non ero pazza».
Come si comportano gli altri con lei?
«Sin da piccola ho notato atteggiamenti ambigui. La gente mi isolava. In treno, le persone cambiavano vagone. A scuola di danza, gli altri cambiavano sala. In ufficio, i colleghi aprivano porte e finestre anche d’inverno».
Altre persone soffrono del suo disturbo?
«In Italia esistono 15 casi diagnosticati. Ho parlato della mia malattia in un’intervista alle Iene e da allora almeno altre 40 persone sospettano di esserne affette. Ecco perché il mio impegno costante è la divulgazione».
Cosa può fare chi sospetta di avere la Tmau?
«Prima di sottoporsi al test è necessaria una visita medica con un genetista, che valuta il da farsi. Ad ogni modo vivere nel dubbio non porta alla risoluzione del problema, quindi la prima cosa da fare è mettere da parte la paura del pregiudizio della gente e trovare il coraggio per affrontare tutto. Gestisco in prima persona le pagine "Insieme per la Tmau" su Instagram, Facebook e Twitter in cui si possono trovare maggiori informazioni, oltre a un supporto morale».
Quali difficoltà affronta nel quotidiano?
«Oltre a quelle legate alla salute, soffro di sbalzi d’umore con alti (pochi) e bassi (molti). La mia ultima esperienza di lavoro è terminata proprio a causa della patologia. Ho avuto diversi colloqui, in cui ho sempre volutamente informato i miei interlocutori della patologia e in tutti i casi non sono mai stata ricontatta. Come pure non ho mai avuto riscontro alle numerose richieste d’aiuto indirizzate ai ministri della salute che si sono susseguiti nelle ultime due legislature».
E nella vita sentimentale?
«Prima della scoperta della malattia, la paura mi ha sempre limitato. Coglievo da parte dei miei ex fidanzati comportamenti strani. Certamente anche per chi mi sta accanto non è semplice: è una scelta che solo chi ama veramente può fare, considerate le numerose difficoltà».
Esiste una cura?
«No. Per cercare di minimizzare le conseguenze della TMAU seguo una dieta restrittiva, eliminando carne, pesce, uova, legumi, prodotti con lievito e cereali. Particolare accortezza dedico all’igiene del corpo, ma è fondamentale anche il supporto psicologico. Chi soffre di Tmau tende ad isolarsi, avere pensieri estremi: anche io ho vissuto e vivo tutt’ora momenti difficili».