''VAI A DORMIRE, TANTO NON MUOIO'' - UNA CRISI RESPIRATORIA IMPROVVISA SI PORTA VIA DIEGO BIANCO, 46 ANNI, UNO DEI 700 SANITARI CONTAGIATI IN LOMBARDIA. MERCOLEDÌ IL TAMPONE, VENERDÌ L'ESITO, IERI ALL'ALBA, NEL LETTO DI CASA, IL PEGGIORAMENTO INASPETTATO. NON AVEVA ALTRE MALATTIE - DA 20 GIORNI ERA FISSO ALL'OSPEDALE DI BERGAMO, UN OPERATORE DEL 118 IN CONTINUO CONTATTO CON MEDICI E INFERMIERI

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Paolo Berizzi per ''la Repubblica''

 

 

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«Vai a dormire, tanto non muoio. Devo solo trovare la posizione ». Diego era uno di quelli che chiamiamo "eroi". O angeli. Quelli delle foto che sui social ci fanno piangere a vederli così, che arrivano a sera distrutti: il volto segnato dalla mascherina, gli occhi gonfi di strazio. A maggio Diego Bianco avrebbe compiuto 47 anni. Chi lo conosce è sicuro che, dopo aver portato la famiglia a mangiare una pizza, sarebbe tornato al suo posto. Che per gli operatori del 118 è un fronte sempre incandescente. Ma la guerra del coronavirus l' ha strappato via dalla trincea. In quattro giorni. Mercoledì il tampone. Venerdì l' esito. Ieri all' alba una crisi respiratoria improvvisa.

 

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«Vai a dormire, devo solo trovare la posizione», dice alla moglie alle 3,30. Alle 5,30, lei - volontaria della Croce Rossa di Seriate - torna in camera, e lo trova in fin di vita (inutile il massaggio cardiaco). Diego abitava a Montello. Robusto, sano, i capelli rossi pettinati col gel, le cuffie del 118 calcate sulla nuca perché l' ultima immagine di lui al lavoro è questa. Autista e operatore tecnico. C' erano turni in cui guidava l' ambulanza, e altri nei quali stava al desk della centrale operativa dell' ospedale Giovanni XXIII. Ultimo turno in strada il 23 febbraio.

 

Da venti giorni Diego era fisso lì, ai telefoni dell' emergenza Covid-19 che nel presidio ospedaliero cittadino ha fatto finire oltre 400 ricoverati. Prendeva le telefonate e "formava" l' equipaggio dell' uscita. «Era un lavoratore preparato, che ha sempre utilizzato i dispositivi di protezione - raccontano i colleghi in lacrime - . Non era anziano e non aveva altre malattie». Nei giorni scorsi gli era salita qualche linea di febbre. Lo stesso era successo ad altri operatori. Qualcuno era stato a casa. Motivo per cui la sala della centrale era stata chiusa e sanificata, e le chiamate dirottate ad altre centrali lombarde.

 

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Mercoledì gli hanno fatto il test: positivo. Ma non stava male. Anche dopo l' esito, era tranquillo. La calma fatalista di chi ha a che fare ogni giorno coi malati. Venerdì sera Diego scherzava col fratello. Diceva che, rispetto a questa battaglia atroce contro il nemico invisibile, le notti sulle strade a soccorrere i feriti degli incidenti erano acqua fresca. «Prima di smontare all' alba ci fermavamo a mangiare le brioche da Joseph Mary, un forno aperto tutta la notte in via Grumellina - ricorda un collega barelliere - . È tutto assurdo, incredibile ».

 

Quasi certo che l' operatore abbia contratto il coronavirus sul posto di lavoro: chi sta in centrale operativa entra in contatto continuamente con infermieri e medici. Perché prima di uscire per il soccorso il personale sanitario si interfaccia con i colleghi che organizzano l' intervento. «Era uno dei 700 operatori sanitari, medici, infermieri, soccorritori, già contagiati - dice Riccardo Germani, Adl Cobas Lombardia - . Per gli operatori della sanità misure straordinarie di protezione».

 

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A Bergamo gli ospedali sono allo stremo. I 2.864 contagi concentrati nella provincia stanno mettendo a dura prova il sistema. È vero che proprio il Giovanni XXIII ha una delle terapie intensive più avanzate d' Europa. Ma degli 88 posti letto a disposizione, «60 sono tutti per i malati Covid, e sono pieni», dice Luca Lorini, direttore del dipartimento di emergenza. Un altro problema è la consegna del materiale sanitario. La scorsa notte il comandante provinciale dell' Arma, Paolo Storoni, ha messo in campo una decina di pattuglie dei carabinieri per 90 consegne urgenti agli ospedali della provincia.

 

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