Margherita De Bac per il "Corriere della Sera"
C'è una ragione in più per vaccinarsi e non concedere tregua al virus della pandemia. Evitare i danni dell'infezione che possono sopraggiungere anche dopo uno-due mesi dalla guarigione «clinica» (la negatività al tampone) e perdurare diverse settimane. È il Long Covid, malattia a sé stante. Strascico, a volte invalidante, di quella originaria.
Il riconoscimento ufficiale in Italia è attestato dal primo rapporto pubblicato il 1 luglio dall'Istituto superiore di sanità, coordinatore il geriatra Graziano Onder. Il decreto Sostegni-bis di maggio ha introdotto un'esenzione specifica per questa nuova «voce».
Il servizio sanitario riconosce ai pazienti la gratuità di esami specifici. Secondo uno studio inglese il 10 per cento dei guariti, dopo quattro settimane dal tampone negativo, soffrono di questa condizione che a due mesi tarpa le ali e impedisce la piena ripresa al 5 per cento dei guariti dalla sindrome respiratoria data dal Sars-CoV-2.
In Italia parliamo di almeno 200-400 mila persone. «Le stime sono provvisorie - spiega Onder -. Dipende dal fatto che non ci sono criteri diagnostici definiti. Molto è legato al tipo di infezione. I più esposti al rischio di sviluppare Long Covid sono ex malati passati attraverso forme gravi, anziani, persone con altre patologie, le donne. Non sono esclusi del tutto coloro che hanno avuto sintomi lievi sebbene le probabilità siano minori».
L'obiettivo principale del rapporto è uniformare i trattamenti e creare una rete di follow up, vale a dire mantenere il controllo di questa platea di persone negli anni. Il virus Sars-CoV-2 è nuovo e così anche le conoscenze sull'eredità che lascia.
«Soprattutto era urgente stabilire i criteri per identificare i pazienti e gestirli in modo ottimale», aggiunge Nicola Petrosillo, uno dei revisori del lavoro, oggi responsabile del servizio controllo infezioni al Campus Biomedico di Roma.
Il Long Covid è una sindrome cronica, esito dalla tempesta infiammatoria accesa dal Covid-19. Declino cognitivo (il cosiddetto brain flog descritto dagli inglesi, annebbiamento cerebrale) problemi vascolari, cardiaci, respiratori, neurologici, renali, dermatologici sono alcune delle conseguenze dirette. Alle quali si aggiungono ansia, depressione, senso di affaticamento, distacco dalla vita.
L'elenco si allunga fino a oltre 200 sintomi su dieci organi. Recenti studi internazionali hanno aggiornato la lista dei contraccolpi clinici, descrivendo casi di Long Covid a 35 settimane «dalla risoluzione biologica» dell'infezione, cioè dalla negativizzazione.
In ogni caso il Long Covid può rendere difficile il ritorno al lavoro delle persone in attività. «Le manifestazioni cliniche - scrivono gli autori del rapporto - sono molto variabili e non esiste un consenso sulle caratteristiche. I segni sono vari e possono presentarsi sia singolarmente sia in diverse combinazioni. Possono essere transitori o intermittenti, cambiare la loro natura nel tempo o essere costanti».
In generale, più grave è stata la malattia acuta e maggiore è l'entità dei sintomi. Ma «si è osservato che il Long Covid può accompagnare anche persone che in fase acuta hanno accusato unicamente sintomi lievi come febbre, tosse, spossatezza».
Il risultato è che il paziente stenta a tornare allo stato di salute precedente l'infezione acuta. Colpiti anche i bambini pur se molto raramente. «L'approccio con questi malati deve essere multidisciplinare, personalizzato, modulato tenendo conto della varietà delle condizioni».
Il primo punto di riferimento dovrebbe essere il medico di famiglia cui spetta valutare l'opportunità di approfondimenti in centri dedicati alla sindrome. Alcune Regioni hanno già individuato percorsi di «post guarigione». Così Emilia-Romagna, Abruzzo, Toscana, Liguria. E stanno nascendo centri specializzati.
Il primo a descrivere il Long Covid è stato Francesco Landi che al Policlinico Gemelli ha organizzato un day hospital per i post Covid. Il coordinatore del team è il geriatra, ma per essere sottoposti a una valutazione a tutto campo (visita pneumologica, reumatologica, gastroenterologica, otorinolaringoiatrica, neurologica e psichiatrica) non c'è limite d'età. In campo pediatrico, la bussola è l'ospedale pediatrico Bambino Gesù.