Una nuova speranza per i malati di Alzheimer passa per il silenziamento genico. Funzionando come il dimmer di una luce elettrica, il trattamento riduce il gene che produce le proteine che causano l'Alzheimer.
I risultati intermedi dello studio in fase uno del farmaco, pubblicati durante una conferenza medica ad Amsterdam il mese scorso, suggeriscono che una singola dose del trattamento - noto per ora semplicemente come ALN-APP - riduce i livelli di proteina precursore dell'amiloide fino al 90%.
Anche dopo sei mesi, i test hanno mostrato che i livelli erano ancora in media inferiori del 65%. Gli scienziati ritengono che, se somministrato abbastanza presto, il trattamento interrompa il processo alla fonte, impedendo ai pazienti di sviluppare i sintomi dell'Alzheimer.
Si tratta di un ulteriore passo in avanti per la ricerca contro la malattia che negli ultimi dieci ha fatto passi in vanati con due studi significativi che hanno dimostrato come la causa principale possa essere rallentata, riducendo il declino cognitivo da un quarto a un terzo. I farmaci - lecanemab e donanemab - agiscono eliminando le proteine amiloidi dal cervello.
Ma il nuovo approccio al silenziamento genico funziona in modo radicalmente diverso. «Invece di assorbire le proteine, si tratta di andare a monte e impedire loro di essere prodotte in primo luogo - ha affermato la dottoressa Catherine Mummery -
Se stai solo eliminando le proteine che sono già lì, devi eliminare costantemente il danno mentre il rubinetto è ancora aperto. Ma se chiudi il rubinetto, hai molte più possibilità di prevenire ulteriori danni».
I primi risultati mostrano che il farmaco è sicuro e dimostra che una singola dose riduce la produzione di proteine. Il team amplierà la sperimentazione somministrando dosi ripetute per vedere se i livelli possono essere ulteriormente abbassati. Mummery prevede che il trattamento alla fine verrà somministrato una volta ogni 6-12 mesi, molto meno frequentemente rispetto a lecanemab e donanemab, che vengono somministrati ogni 2-4 settimane.
Il trattamento viene somministrato tramite un'iniezione nella parte bassa della schiena, direttamente nel liquido cerebrospinale che circonda il midollo spinale, consentendogli di arrivare fino al cervello evitando la barriera emato-encefalica.
Mummery ha sottolineato che c'è ancora molta strada da fare prima che il trattamento sia pronto.
Il team di ricerca non ha ancora iniziato a monitorare se il farmaco rallenti il declino cognitivo. «È necessario un ampio studio di fase due per dimostrare se ci sono benefici clinici o meno», ha affermato.
La cosa complicata sarà identificare se si tratti di pazienti con Alzheimer genetico o con Alzheimer ad esordio giovanile. I secondi hanno maggiori probabilità di trarne beneficio.
Mummery ha affermato che, come è emerso dai primi risultati, gli effetti collaterali sono minimi: i pazienti potrebbero evitare il rischio di emorragie cerebrali osservate con gli altri nuovi trattamenti.