Luca Telese per ''la Verità''
Ho visto le foto delle vostre facce, infermieri segnati dalla guerra in corsia.
«Pazzesco, vero?
Le mascherine sono tutto per noi, croce e delizia».
Ti proteggono, ma ti fanno soffrire.
«Noi non possiamo usare la classica mascherina chirurgica in tessuto».
Vi servono la Ffp2 e le Ffp3, più protettive, filtranti, ma anche dure.
«Ti lasciano solchi sul viso».
E poi?
«Ti serve anche la protezione degli occhiali. Sono simili a quelli da sci, che però sono rivestite di gommapiuma e fanno meno male. E per fortuna noi siamo pieni di inventiva».
Cioè?
«L' ultima moda. In pochissimo tempo si è diffusa questa trovata: bardarsi il volto con dei cerotti da decubito prima di vestire le protezioni».
Per limitare la frizione della mascherina?
«Esatto. Ognuno a seconda delle esigenze del suo viso. Chi sul naso, chi sugli zigomi, chi addirittura sulla fronte».
E il cerotto funziona?
(Sorriso). «Ci metti altri dieci minuti in più nella vestizione ma sì, funziona, anche se devo dire che dopo sembriamo delle mummie. Tuttavia non è questo il vero problema».
Perché?
«È fondamentale che tutti quelli che lavorano in corsia, o a domicilio, abbiamo le mascherine come un diritto. Io però fatico sempre a trovarne».
E non c' è disponibilità adesso?
«Macché. Torno a casa e sono sempre attaccato al telefono, a chiedere, implorare, gridare, contrattare, incazzarmi».
I prezzi sono saliti?
«Sta scherzando? Adesso le racconto di quanto e come».
Gianluca Solitro, presidente dell' ordine degli infermieri di Bergamo è un trentenne estroverso, nato in Puglia e trapiantato in Lombardia. È un manager che vive nella trincea del lavoro di tutti i giorni, e descrive l' esperienza collettiva che sta vivendo due volte, si con la cooperativa che guida, sia con sua categoria. Gianluca è lucido, ironico e a tratti anche disincantato: «Quando finisci a dare terapie e sacramenti capisci che nulla sarà più come prima per noi».
Che storia ha Solitro?
«Sono un pugliese, adottato dalla Bergamasca, ho iniziato a lavorare come infermiere nel 1997».
In Lombardia?
(Ride). «Sì. Un "terrone" eletto alla guida degli infermieri della provincia più nordista d' Italia, vuol dire che ho superato la prova cruciale dei bergamaschi».
E quale sarebbe?
(Risata). «Se lavori meno di quattordici ore al giorno ti considerano un part time».
Adesso lei si divide fra l' ordine e la professione sul campo.
«Dirigo una cooperativa che lavora nella sanità a tutti i livelli, dagli ospedali ai medici di base, fino all' assistenza a domicilio».
Nelle strutture cosa fate?
«Abbiamo la gestione di molti servizi intraospedalieri, ad esempio le sale operatorie».
Quindi sto parlando con la persona giusta per capire cosa sta accadendo nell' emergenza.
«Oh, direi di sì, in questi giorni tutto il mio personale di è riconvertito e lavora solo sul Covid-19».
Le pare attendibile il dato sul calo dei contagi?
«Negli ospedali della Bergamasca è ancora allarme rosso».
Descriviamolo.
«Quando tu hai tanti pazienti, li devi gestire tutti insieme, quando vivi un disastro permanente, sai che puoi uscire dal tunnel solo quando cala il tuo afflusso di malati».
Mi dica l' esperienza a cui non eravate preparati.
«Essere noi il parente ultimo, essere noi gli unici al fianco di chi muore in queste ore».
Parla dal punto di vista psicologico, adesso.
«Sì, ma non intendo quello del paziente, parlo del nostro: qualcosa di simile non ci era mai accaduto e ci segnerà per tutta la vita».
Perché in passato c' erano anche i parenti insieme a voi, nelle corsie.
«Esatto. In queste ore, invece, non si può per via degli isolamenti: quando il paziente ti guarda in faccia e ti consegna il suo ultimo messaggio per chi ama e non hai nemmeno dove scriverlo, tu sei impreparato, prima tutto psicologicamente a sostenere un peso così grande».
È terribile.
«Non è finita. È accaduto in questi giorni che i vescovi ci abbiano detto: "Voi infermieri potete dare l' estrema unzione". E sono in moltissimi a chiederla. Ma immaginate di essere al nostro posto».
Torniamo alle mascherine, adesso avete le protezioni?
«Contatissime e scarsissime».
E non è l' unico problema.
«Quando le trovi hanno dei prezzi assurdi».
Mi dia una misura.
«Una mascherina chirurgica prima mi costava nove centesimi, ora costa un euro. Mentre una Ffp3 prima mi costava 0.90, ora mi costa 6,50 euro!».
Tra sei e nove volte di più?
«Esatto. Ma devo aggiungere che non è il mio grossista ad alzarmi i prezzi. Lui mi fa vedere le bolle di quello che le paga lui».
E cosa si scopre?
«Il fornitore mi dice: "Io le chirurgiche le compro a ottanta centesimi. Tutte le spedizioni sono bloccate alle dogane.
Dobbiamo elemosinare tutte le forniture, anche quelle che erano state già pagate"».
Quindi non c' è più scelta.
«Se voglio prendermi mille mascherine devo spendere 6.500 euro: è la cifra con cui prima del Covid-19 compravo tre lettini motorizzati!».
E si cede al ricatto del mercato?
«O non proteggo i miei infermieri o non le compro. Che devo fare? Le compro. Perché non mando un esercito in guerra senza protezioni».
Cosa prova quando vi definiscono eroi?
«Non mi emoziono. Io non entro nelle vicende politiche, ma di quello che ci riguarda non posso tacere».
E cioè?
«È assurdo che le istituzioni che si ricordano solo oggi degli infermieri chiamarci "eroi".
Ieri dove erano?».
Me lo dica lei.
«Abbiamo i contratti scaduti nella sanità privata da 14 anni. Nel pubblico abbiamo ricevuto un aumento contrattuale di cinquanta euro».
Ed è poco?
«Oggi noi infermieri dobbiamo avere una laurea, ci sono richieste specializzazioni con dei master».
Facciamo un esempio.
«Il più facile di questi giorni: le terapie intensive. Uno che ha appena ha finito la scuola non può andare serenamente in una terapia intensiva. Ti serve competenza, esperienza».
E poi?
«Se oggi abbiamo così pochi infermieri per fronteggiare la crisi lo dobbiamo alle scelte politiche di questi anni».
Ad esempio?
«Sono stati ridotti gli organici. Ovunque. Siamo 450.000, pochi. E sono pochi pure i medici: il cortocircuito che stiamo vivendo in Italia lo dice».
In queste ore tutto si è velocizzato, da questo punto di vista?
«Adesso uno che ha poco più che il camice viene assunto. Si assume quando affonda la nave».
le foto di medici e infermieri che lottano con il coronavirus
Cosa pensa di chi è scappato al Sud?
«Nessuno dei miei amici mi avrebbe lasciato qui a combattere da solo».
Chi non capisce?
«Quelli che sono scesi ora con le famiglie: questo non posso accettarlo. La vigliaccheria è terribile, soprattutto se porta anche contagio».
La cosa che le resterà.
«Riscoprirsi come gruppo, come squadra. Siamo diventati tutt' uno. Come in guerra.
Uno difende l' altro».
Molti di voi si sono ammalati.
«Qualche giorno fa a livello nazionale eravamo al 10%».
E tra di voi.
(Pausa). «Molti, siccome non hanno sintomi respiratori non hanno fatto il tampone».
Per continuare a lavorare?
«Senta, sarò brutale: in queste ore bisogna pensare alla conseguenze».
le foto di medici e infermieri che lottano con il coronavirus 2
Me lo spieghi.
«È semplice: se io ho settanta infermieri fermi per il tampone, poi chi li tiene aperti gli ospedali?».
Che dati guarda, lei?
«Solo due. Il numero dei morti e quelli delle terapie. E prego tutti i giorni che non accada in Puglia o Calabria quello che è successo a noi».