Fausto Carioti per “Libero Quotidiano”
Sappiamo che i vaccini arrivati in Italia sono assai meno di quelli previsti. Sappiamo anche che l’organizzazione di Giuseppe Conte e Domenico Arcuri, progettata attorno alle "primule" da 400mila euro l'una, era lenta e inefficiente, tant' è che Mario Draghi l'ha rottamata assieme a colui che l'aveva ideata. Resta da capire una cosa, importante: era possibile, con lo stesso esiguo numero di vaccinazioni fatte sinora, avere meno morti? La risposta è stata data nei giorni scorsi dall'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale: sì, era possibile.
Se Roberto Speranza e i suoi collaboratori avessero disegnato il programma di vaccinazione in modo diverso, privilegiando gli italiani in età avanzata anziché la categoria professionale di appartenenza, l'abbattimento della letalità del Covid, ossia del rapporto tra i deceduti e il numero totale dei contagiati dal virus, sarebbe stato molto più rapido. «Due mesi persi dall'Italia» è infatti il risultato cui giunge l'Ispi, in un'analisi firmata dal ricercatore Matteo Villa. «La riduzione di letalità che raggiungeremo a fine marzo (-21%) la avremmo potuta raggiungere a inizio febbraio». Due mesi persi, ovvero qualche migliaio di morti in più. Proprio perché la probabilità di morire a causa del Covid cresce di pari passo con l'anzianità.
coronavirus il reparto di terapia intensiva del sant'orsola di bologna
Per capirsi: secondo uno studio apparso sullo European Journal of Epidemiology, il tasso di letalità della malattia, ossia il rapporto tra il numero dei decessi e il totale delle persone infettate, è pari allo 0,01% tra coloro che hanno 25 anni e sale con l'invecchiare del paziente, raggiungendo lo 0,4% all'età di 55 anni e un molto preoccupante 15% per coloro che ne hanno 85. Altre ricerche danno risultati simili. Proprio perché è noto che gli ultraottantenni rischiano di più, a gennaio il governo aveva deciso di vaccinare l'80% di loro entro la fine di marzo: 3,6 milioni di persone. Un obiettivo che può dichiararsi fallito. Ieri risultavano vaccinati 2.479.763 "over 80" italiani, e le possibilità che in undici giorni si arrivi al traguardo sono nulle.
NUMERI IN CALO Anche perché, nota Villa su Twitter, «nell'ultima settimana abbiamo registrato una costante diminuzione nella somministrazione di prime dosi agli ultraottantenni», scese in media sotto le 50mila al giorno. Il motivo non è la cosiddetta «esitazione vaccinale», ossia la tendenza degli interessati a ritardare l'iniezione o a non farla. «È che ora si tratta di somministrare anche i richiami, e le dosi sono quelle che sono». Resta il fatto che, di questo passo, l'obiettivo di immunizzare l'80% degli ultraottantenni sarà raggiunto solo il 22 aprile, e bisognerà attendere l'11 maggio perché tutti loro siano protetti dal virus.
coronavirus il reparto di terapia intensiva del sant'orsola di bologna
Ma l'errore è proprio nella strategia iniziale: sempre ammesso, s' intende, che lo scopo fosse ridurre al massimo le morti da Covid, e non trovare un compromesso tra questo obiettivo e quello di difendere alcune categorie la cui età media, però, è associata a un rischio molto basso.
UNA DOSE SU TRE Le tabelle del governo dicono che, su un totale di 7,4 milioni di dosi somministrate sinora, appena una su tre è stata iniettata nel braccio di un ultraottantenne. In compenso 1 milione di vaccini sono stati inoculati a italiani con meno di 70 anni che non appartengono alla categoria degli operatori sanitari, né al personale della scuola o alle forze armate. Altre 660mila dosi sono state usate per docenti e bidelli con meno di 70 anni, 107mila sono andate a militari con meno di 50 anni. Fa impressione vedere che la fascia di età tra i 70 ed i 79 anni ha ricevuto in tutto 260mila vaccini, meno della metà dei 557mila destinati a coloro che hanno tra i 20 e i 29 anni.
coronavirus il reparto di terapia intensiva del sant'orsola di bologna 2
È a causa di questi numeri che, come nota l'Ispi, «la riduzione di letalità effettiva raggiunta nei primi due mesi dall'inizio della campagna vaccinale è stata molto poco significativa». Le immunizzazioni si sono concentrate dapprima sul personale sanitario, la cui età mediana è di poco superiore ai 46 anni. Ma si tratta di persone che «avrebbero comunque avuto una probabilità molto bassa di presentare forme gravi o di morire a causa dell'infezione da Sars-CoV-2, e dunque la riduzione di letalità ottenuta era molto bassa». Poi sono state privilegiate altre categorie, con gli scandali e le "vaccinazioni per caste" denunciati in molte parti d'Italia. È solo quando si è iniziato a fare sul serio con gli ultraottantenni che si sono visti i primi effetti.
coronavirus terapia intensiva 2
CURVA LETALE Tirando le somme, se la campagna vaccinale «si fosse concentrata sin da subito sulle fasce d'età più anziane (ultra-novantenni, persone nella fascia d'età 80-89 anni, e poi via via a scendere)», oggi «staremmo rapidamente veleggiando verso una riduzione del 54%» della letalità, anziché del 21%. «Praticamente, decessi dimezzati rispetto a uno scenario senza vaccini». Così non è stato. Il ministero della Sanità ha ritardato l'immunizzazione di milioni di italiani che hanno una probabilità più alta di morire se contagiati, e questa scelta ha comportato un inevitabile tributo di vite.
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