Mauro Evangelisti per “il Messaggero”
Oggi, o al massimo domani, sarà ufficializzata la validazione di quattro tipi di test sierologici da usare per la ricerca su scala nazionale, in collaborazione con l'Istat. Validare significa definire quali siano quelli affidabili, perché per questi esami del sangue che valutano la presenza di anticorpi (Igg o Igm) e dunque dicono se il paziente è infetto o lo è stato di recente, fino ad oggi si è riscontrato che vi sono margini di errore preoccupanti.
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STUDIO
I quattro prescelti danno maggiori garanzie, ma poi dovrà partire l'approvvigionamento. Ne serviranno per la ricerca su scala nazionale 100mila perché è su questa quantità che sembra intenzionato a lavorare il Comitato tecnico scientifico che affianca il governo e il Ministero della Salute per l'emergenza coronavirus. E bisognerà fare presto. Il presidente del Consiglio superiore di sanità, il professor Franco Locatelli, ha annunciato l'avvio del vasto screening entro le prime settimane di maggio.
Rischiamo, però, di avere la fotografia sulla reale diffusione del virus nel nostro paese in ritardo, almeno rispetto alla necessità di delineare la fase due. Altre incognite: ormai è evidente che vi sarà un esito a macchia di leopardo. In Lombardia i positivi o gli ex positivi sono molti di più di quelli rilevati dai tamponi; in altre regioni, soprattutto nel centro-sud, non pare realistica la famosa ricerca dell'Imperial college che ipotizzava un numero di infettati dieci volte più alto di quello uffciale.
«Non arriveremo a quei numeri» prevede il professor Gianni Rezza, direttore di Malattie Infettive dell'Istituto superiore di sanità. Anche Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell'Università di Pisa e consulente per la Regione Puglia, è convinto che nel centro-sud la percentuale dei positivi o degli ex positivi sarà molto bassa («e questo è un problema, perché significa che la parte di popolazione ancora suscettibile al virus è assai ampia»).
Altro nodo: le regioni hanno anticipato la ricerca nazionale. Il Lazio farà da solo 300mila test sierologici, coinvolgendo, tra gli altri, operatori sanitari e forze dell'ordine. Ma dai primi risultati sul piccolo campione di Nerola, paese in provincia di Roma, si evince che i positivi non rilevati non sono molti. Lo stesso in Puglia: tra gli operatori sanitari solo l'1 per cento era positivo al test sierologico. In Emilia-Romagna, dove il test è stato fatto già a 15 mila tra infermieri e medici, siamo al 3 per cento, percentuale più alta, ma non così elevata se teniamo conto che è la regione con più contagiati dopo la Lombardia e che gli esami hanno interessato una categoria inevitabilmente più a rischio. In Liguria, il governatore Toti ha varato una campagna di test sierologici a tappeto nelle Rsa e sul personale sanitario. Spiegano dalla Regione Liguria: li faremo anche sui donatori di sangue, analizzando le
donazioni da dicembre scorso e fino a giugno, su donatori tra 18 e 70 anni, per capire da quando il virus circola. In Veneto il governatore Zaia è stato uno dei primi a credere nei test sierologici. Di fronte a tutte queste accelerazioni il ministero della Salute ha sempre affermato che non sono attendibili per «rilasciare una patente di immunità», Zaia ha replicato: «A Speranza consiglio di lasciare decidere gli scienziati».
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PRIVATI
In sintesi, si sta correndo su due piste differenti e parallele e questo rischia di falsare le fotografie sulla diffusione del virus in Italia: da una parte c'è l'indagine nazionale voluta dal Comitato tecnico scientifico e dal Ministero in collaborazione con l'Istat; dall'altra ci sono i test che molti regioni hanno già cominciato. Non solo: molte grandi aziende si stanno organizzando, per la riapertura, proponendo i test sierologici per i propri dipendenti, mentre anche i laboratori privati ormai offrono questo tipo di rilevazione. Il professor Locatelli, l'altro giorno, ha sostenuto che questa «dovrebbe essere materia solo del servizio sanitario nazionale».
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