Vittorio Sabadin per www.lastampa.it
Dopo la sospensione della sperimentazione del vaccino AstraZeneca-Oxford per la reazione di rigetto di una volontaria, c’è un altro ostacolo sulla strada della ricerca di un rimedio al Covid-19. Ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di Nanchino hanno scoperto che gli anticorpi prodotti dall’organismo di soggetti guariti decadono dopo un solo mese, rendendo possibile un nuovo contagio.
La ricerca condotta dall’università cinese conferma i dati di un analogo esperimento del King’s College di Londra: in 60 soggetti su 96 esaminati, la risposta degli anticorpi si era rivelata particolarmente efficace all’apice dell’infezione, ma tre mesi più tardi era risultata significativa solo nel 17% dei casi.
A Nanchino gli scienziati hanno esaminato 26 pazienti per sette settimane. Di questi, 19 erano in condizioni non gravi e sette erano invece a rischio. Uno su cinque non ha generato anticorpi e pochi lo hanno fatto in modo significativo. Ma tre-quattro settimane dopo essere stati dimessi dall’ospedale tutti quelli che avevano sviluppato anticorpi hanno mostrato un declino importante. “Studi come questi – ha detto Danny Altmann, docente di Immunologia all’Imperial College di Londra – sono una componente vitale dello studio su chi ha un’immunità e per quanto tempo. Ancora una volta, la sperimentazione dimostra che la vita di questi anticorpi nel sangue non è particolarmente duratura”.
La ricerca cinese e quella britannica, se saranno confermate da altri test, pone una serie di interrogativi sulla futura efficacia del vaccino sul quale si ripongono così tante speranze per chiudere il capitolo della pandemia da Covid-19. Molti scienziati ritengono tuttavia che sia ancora presto per trarre conclusioni. Esistono infatti due tipi di reazioni immunitarie: quella prodotta dall’organismo umano, che reagisce allo stesso modo quando un intruso lo minaccia, e quella invece “adattativa”, costituita dalle cellule B e T che memorizzano le caratteristiche di un agente patogeno anche per tutta la vita. Quando l’intruso si ripresenta, le cellule B e T sono in grado di comunicare al sistema immunitario qual è il modo migliore per sconfiggerlo, invece di sparare proiettili a caso come l’organismo fa quando si trova davanti a un virus sconosciuto. Un soggetto potrebbe avere un basso livello di anticorpi, ma le sentinelle B e T potrebbero essere pronte a scatenare la reazione immunitaria se già conoscessero l’intruso.
Questo processo di immunità “adattiva” richiede un po’ di tempo per la messa a punto. Tutte le reazioni immunitarie dell’organismo perdono efficacia con il passare dei mesi e le stesse vaccinazioni divenuto ormai pratica comune devono in molti casi essere ripetute dopo un certo lasso di tempo. Quella contro il raffreddore, un altro coronavirus, va fatta ogni anno. Il calo della risposta immunitaria di per sé non significa dunque il fallimento della ricerca sui vaccini. Ma bisogna tenerne conto per sviluppare un rimedio che sia efficace sul lungo periodo e che non ci riporti dopo pochi mesi al punto di partenza dopo essere costato altri miliardi ai servizi sanitari nazionali.
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