Elena Tebano per www.corriere.it
Sono 38 mila le vite salvate grazie alle misure di chiusura e distanziamento sociale adottate in Italia dall’inizio dell’epidemia di coronavirus. Lo stima uno studio dell’Imperial College di Londra, cofirmato da Neil Ferguson, una delle massime autorità in materia e quella che ha convinto Boris Johnson ad adottare il lockdown, inizialmente rifiutato dal premier inglese. Dal rapporto, che esamina l’impatto delle misure di contenimento non farmacologiche in 11 Paesi europei (tra cui anche Spagna, Francia, Regno Unito e Germania) emergono elementi molti significativi che riguardano l’Italia, dove gli scienziati stimano che le persone infettate dal SARS-CoV-2 siano 6 milioni, e non un centinaio di migliaia come indicato dai bollettini della Protezione civile.
«Troviamo che il rallentamento della crescita dei decessi segnalati quotidianamente in Italia sia coerente con un impatto significativo degli interventi attuati diverse settimane prima. In Italia, stimiamo che il numero di riproduzione effettiva, Rt, sia sceso a quasi 1 intorno al momento del blocco (11 marzo), anche se con un alto livello di incertezza» scrivono gli scienziati dell’Imperial College. «Con gli attuali interventi in corso almeno fino alla fine di marzo, stimiamo che gli interventi in tutti gli 11 Paesi avranno evitato 59.000 morti fino al 31 marzo. Molti più morti saranno evitati assicurando che gli interventi rimangano in atto fino a quando la trasmissione non scenderà a livelli bassi». in particolare «in Italia e in Spagna, dove l’epidemia è in fase avanzata, sono stati evitati rispettivamente 38.000 [13.000-84.000] e 16.000 [5.400-35.000] morti».
L’intervallo tra paretesi si riferisce a una forbice statistica: significa che nel nostro Paese ad oggi grazie alle misure di contenimento sono stati evitati un numero di morti che va da un minimo di 13 mila a un massimo di 84 mila, dove 38 mila è il valore medio più credibile. «Questi numeri danno solo i decessi evitati che si sarebbero verificati fino al 31 marzo. Se dovessimo includere i decessi degli individui attualmente infetti in entrambi i modelli, che potrebbero verificarsi dopo il 31 marzo, allora i decessi evitati sarebbero sostanzialmente più elevati» aggiungono gli scienziati, secondo i quali le misure sono riuscite a ridurre il tasso di trasmissione del Covid-19 dal 3,87 iniziale a poco più di 1 (affinché l’epidemia si fermi e il virus scompaia deve scendere sotto 1).
L’analisi dell’Imperial College, però, mostra anche che i dai ufficiali del contagio in Italia sono largamente sottostimati (come segnalato da vari esperti indipendenti). Secondo Neil ferguson e i suoi colleghi almeno il 10% della popolazione è stato contagiato dal coronavirus, anche se molte persone sono rimaste asintomatiche. «Stimiamo che, in tutti gli 11 Paesi europei esaminati, tra i 7 e i 43 milioni di persone sono state infettate dalla SARS-CoV-2 fino al 28 marzo, il che rappresenta tra l’1,88% e l’11,43% della popolazione — scrivono gli studiosi —. La percentuale della popolazione infettata fino ad oggi - il tasso di attacco - è stimato essere il più alto in Spagna, seguito dall’Italia e il più basso in Germania e Norvegia, riflettendo le fasi relative delle epidemie.
In tutti i Paesi, si stima che le infezioni rilevate siano di ordine di grandezza inferiore rispetto alle infezioni vere e proprie, per lo più dovute a infezioni lievi e asintomatiche, oltre che a una limitata capacità di analisi. In Italia, i nostri risultati suggeriscono che, cumulativamente, 5,9 [1,9-15,2] milioni di persone sono state infettate al 28 marzo, con un tasso di attacco (medio, ndr) del 9,8% della popolazione». Gli intervalli, ancora una volta si riferiscono a oscillazioni statistiche: secondo gli scienziati in Italia sono state infettate da un minimo di 1,9 milioni di persone, a un massimo di 15,2 milioni. Vari ordini di grandezza di più delle 101.739 persone che a ieri risultavano positive al virus secondo il bollettino della Protezione civile.
Perché? Ancora una volta il problema è il basso numero di test, fatto solo alle persone che si aggravano e arrivano negli ospedali. «L’alto livello di sotto-valutazione delle infezioni che stimiamo in questa sede è probabilmente dovuto all’attenzione posta sui test in ambiente ospedaliero piuttosto che nelle comunità» si legge nel rapporto dell’Imperial College. «Le nostre stime implicano che le popolazioni in Europa non sono vicine all’immunità del gregge (~50-75% se R0 è 2-4). Inoltre, con i valori di Rt in calo sostanziale, il tasso di acquisizione dell’immunità del gregge rallenterà rapidamente. Ciò implica che il virus sarà in grado di diffondersi rapidamente se gli interventi saranno revocati».
ITALIA QUARANTENA COLOSSEO ROMA CORONAVIRUS