Maria Sorbi per "il Giornale"
Nel 2020 sono nati solo 404mila bambini, meno della metà rispetto agli anni d'oro del baby boom. Ovvio, si potrebbe pensare, colpa della pandemia. Ma non è così. L'epidemia di Covid e la crisi economica che ne è scaturita sono solo due concause di un crollo delle nascite già in atto da parecchi anni. Il motivo? Non ci sono i genitori.
Di fatto, risentiamo oggi dell'onda lunga di trenta/quarant' anni fa, quando l'Italia aveva smesso di fare figli e faceva i conti con una crisi demografica mai vista prima. Tanto che nel 1991 (quando non erano in corso nè guerre nè epidemie) siamo arrivati a una media di 1,19 figli per donna, record negativo mai visto prima. I grafici dell'Istat sulle nascite rendono bene l'idea del crollo a picco delle nascite dagli anni Sessanta (anni in cui imperava l'ottimismo economico e si investiva parecchio nella famiglia) agli anni Ottanta-Novanta.
Complici del drastico cambiamento sociale sono stati vari elementi: l'emancipazione delle donne, sempre più istruite e inserite nel mondo (...) (...) del lavoro, l'utilizzo più diffuso della pillola contraccettiva, la legge sull'aborto, l'ambizione delle donne non solo a diventare mamme ma anche a lanciarsi nella carriera. E, in sintesi, il rinvio della costruzione di una famiglia con un'età sempre più alta per cominciare la prima gravidanza.
I figli non concepiti trent' anni fa sono i genitori che mancano oggi. E quindi è ovvio che si mettano al mondo meno bambini. Ma, ripercorrendo la curva demografica degli ultimi trent' anni, ci sono altri elementi che hanno influito nell'impedire nuovi baby boom. Ad esempio la crisi economica del 2008. «In quel periodo - spiega Sabrina Prati, dirigente del Servizio statistiche dell'Istat - i numeri dellE nascite sono letteralmente precipitati e hanno risentito di tutti gli effetti economici e sociali della crisi finanziaria.
Sono arrivati i contratti a termine, precari, e i giovani hanno cominciato a rinviare sempre di più il progetto di una famiglia. Non abbiamo fatto in tempo a riadattarci a quella rivoluzione che si è aggiunta la pandemia da Covid a completare il quadro. E ovviamente la ripresa non è vicina. Con tutta probabilità i dati sulle nascite del 2021 saranno peggiori rispetto a quelli post primo lockdown».
Già nel pre pandemia, quando, con 420mila bebè, le nascite erano già in calo (-156mila rispetto al 2008), pagavamo il prezzo di tante decisioni degli anni Settanta-Ottanta. Quando non mancavano solo i genitori, ma anche politiche di incentivazione a mettere su famiglia. «Non era questo per forza il destino a cui dovevamo andare incontro - spiega Prati dell'Istat - Anche in Francia i dati sulle nascite erano pessimi ma sono state messe in atto misure per aiutare le famiglie. Qui in Italia no. E, a dirla tutta, sulla curva demografica non abbiamo nemmeno visto gli effetti di iniziative estemporanee come bonus bebè o assegni per il terzo figlio. Nulla di nulla».
IL PIANO DEL GOVERNO
Ma è così importante fare figli? Non si è sempre detto che siamo troppi? I demografi e gli economisti lo sanno bene: un Paese senza giovani è un paese destinato a non crescere. Nè socialmente nè economicamente. Soprattutto se, come in Italia, la popolazione anziana è in aumento (sia per effetto dell'aspettativa di vita sempre più lunga, sia perchè gli over 70 di oggi sono i bambini del cosiddetto baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta, quando in Italia le culle superavano quota un milione).
Quindi in qualche modo va frenata la picchiata libera delle nascite e invertita la tendenza. Il governo Draghi, potenziando parte del Family act, ha deciso di eliminare bonus bebè e contributi vari e di introdurre l'assegno unico di 250 euro. Ne hanno diritto, da luglio, le famiglie che hanno un figlio dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni e rientrano in alcuni parametri Isee. Il sostegno ovviamente non è sufficiente a rilanciare le nascite.
Dopo la gestione dell'emergenza, bisognerà pensare al potenziamento di nidi e asili e a creare le strutture necessarie a non costringere le donne a dover scegliere tra figli o lavoro. Non solo, sul lungo periodo possono dare i loro frutti anche nuove regole per agevolare l'accesso al lavoro, contratti più stabili, sostegno alle giovani coppie più duraturo. Insomma, è necessario ripensare alle politiche della famiglia.
Anche perchè, la stessa Francia, che da questo punto di vista è sempre stata più lungimirante di noi, sta assistendo impotente al calo delle nascite, scese del 13% e arrivate a 740mila bimbi, uno dei numeri più bassi registrati dal 1945 ad oggi, nonostante sussidi alle famiglie, centri per la cura dei bambini, detrazioni fiscali e politica del quoziente familiare. Significa che l'impatto della pandemia sulla popolazione è solo all'inizio.
Ci sono altre due voci su cui lavorare: il problema dei cicli di fecondazione assistita interrotti a causa del lockdown e il calo dei matrimoni (dimezzati rispetto al pre-pandemia). È vero che oggi i figli si fanno senza aspettare di essere sposati, ma per esperienza, i demografi ricordano che «il 70% dei nati arriva da coppie sposate da un paio di anni, quindi il rinvio delle nozze si potrebbe tradurre nel rinvio a iniziare gravidanze o a rinunciare definitivamente al progetto di un figlio».
SOS RICAMBIO GENERAZIONALE
Stiamo assistendo a un divario tra nascite e decessi secondo solo al 1918, anno in cui l'epidemia della Spagnola era riuscita a fare più vittime della Prima Guerra mondiale. Il nuovo record 2020 di poche nascite (404 mila) e l'elevato numero di decessi (746mila), mai sperimentati dal secondo dopoguerra, aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese.
Il deficit di «sostituzione naturale» tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge -342mila unità, valore inferiore, dall'Unità d'Italia, solo a quello record del 1918 (-648mila), quando l'epidemia di Spagnola contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni dei decessi registrati in quell'anno.
L'impatto che l'aumento dei decessi dovuti al Covid ha avuto sulla dinamica naturale, soprattutto nella prima e nella seconda ondata (in cui si sono registrati i saldi naturali di -117 mila e -114 mila unità), insieme alla diminuzione delle nascite, ha contribuito a determinare nel 2020 una perdita di 127mila unità in più rispetto al saldo naturale del 2019 (quasi il 60% in più).
Il deficit è riscontrabile in tutte le regioni, perfino nella provincia di Bolzano (-313 unità), che negli ultimi anni si è caratterizzata per il suo trend positivo in termini di capacità di crescita grazie a una natalità più alta della media. Il tasso di crescita naturale, pari a -5,8 per mille a livello nazionale, varia dal -0,6 per mille di Bolzano al -11,3 per mille della Liguria.
Le regioni che più delle altre vedono peggiorare il saldo naturale (oltre il 4 per mille in meno rispetto al 2019) sono Valle d'Aosta (-8,6 per mille) e Lombardia (-6,7 per mille); solo la Calabria (-3,9) si assesta su valori simili a quelli del 2019. I demografi hanno parecchi dubbi anche su quello che molti attendono come un «effetto dopoguerra» in cui si tornerà a fare figli. Non è così automatico.
A guardare i numeri stiamo solo peggiorando un declino già in atto e che, in Italia, mette anche a dura prova il concetto di baby boom, dimostrando che in fondo quella corsa a fare figli non c'è mai stata. «Il numero medio di figli per donna - rileva l'Istat - è costantemente in calo dagli anni venti al 1976».